vigili urbani pompei

“I dati raccolti nell’istruttoria impongono di ritenere illecita la registrazione dal momento che è emerso che la stessa non è stata realizzata da uno dei partecipanti alla conservazione ma da un estraneo al colloquio”. Questo, persino sconcertante, almeno a tratti, è il motivo “principe” che ha spinto i giudici del Tribunale di Torre Annunziata a concludere la bufera giudiziaria abbattutasi nel 2017 sui vigili urbani di Pompei.

Motivazioni (appena pubblicate) che hanno infatti e giocoforza prodotto una storica sentenza di assoluzione con formula piena riguardo all’indagine partita cinque anni fa – a seguito di un blitz svolto il 16 gennaio 2022 dai caschi bianchi per il controllo di presunti abusi commessi da vari imprenditori all’interno delle loro imprese – aperta dai pm contro l’ex vicecomandante della Municipale, Ferdinando Fontanella, poi degli allora sovrintendenti dei vigili urbani Ruggiero Valanzuolo e Giuseppe Cascone, e dell’ex capo dell’Utc, Angelo Celentano. L’accusa, per tutti e in concorso, era di rivelazione di notizie coperte dal segreto istruttorio.

Pompei, la vicenda del presunto abuso

A scoperchiare il presunto abuso “orchestrato” ai suoi danni dai pubblici ufficiali fu la denuncia sporta in procura da Natale Russo: il titolare della ditta Parking Plinio, l’azienda che per anni ha gestito il servizio di rimozione forzata dei veicoli per l’amministrazione comunale. Cinque giorni dopo aver “subito” un controllo nella sua azienda, l’imprenditore decide di recarsi al Comando in piazza Schettini per chiedere delle “spiegazioni”.

Da qui, subito dopo, l’inizio del caso giudiziario. Secondo quanto raccontato agli inquirenti, Natale Russo quello stesso giorno avrebbe infatti scoperto che i vigili starebbero “divulgando una serie di notizie coperte dal segreto istruttorio (in particolare sui controlli già operati nella sede della propria impresa, ndr) a un giornalista”: D.D.G., anch’egli inizialmente indagato, poi però prosciolto da ogni ipotesi d’accusa. Il collega, in questo modo, avrebbe potuto scrivere un articolo ricco di particolari proprio sui controlli operati dai vigili a carico di Russo.

La denuncia dell’imprenditore in Procura

Dopo la presunta scoperta, l’imprenditore denuncia tutto ai magistrati, fornendo anche un mezzo di prova: l’intercettazione della chiacchierata “sospetta” svolta in ufficio tra i vigili e il giornalista. “Lo stesso giornalista, testimone in aula, ha sconfessato la tesi di Russo – commenta adesso Guido Sciacca, l’avvocato dei vigili coinvolti – perché non ha mai registrato quella presunta conversazione intrattenuta coi vigili nel loro ufficio. L’intera inchiesta – conclude – a mio avviso si è basata su un’intercettazione inutilizzabile”. Tant’è che poi, agli atti del processo, è stata acquisita solo una trascrizione, non l’intercettazione originale. E tutto nonostante i magistrati avessero provveduto, poco dopo la denuncia, al sequestro dei cellulari.

“Il fatto non sussiste. La traccia audio deve essere qualificata quale intercettazione illecita in quanto effettuata da soggetto estraneo al colloquio in violazione delle norme che regolano l’attività di captazione delle conversazioni”. Così, dopo 5 anni di attesa, i giudici hanno chiuso il “cold-case” sui vigili di Pompei. A processo, l’amministrazione comunale si era anche costituita parte civile.

Salvatore Piro

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