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“Chiediamo solo di lavorare”: è questa la richiesta di 35 ex dipendenti della società partecipata Terme di Stabia spa. Nei giorni scorsi i lavoratori sono usciti vincitori da una lunga battaglia legale cominciata dopo il licenziamento del 2015, dopo il crac della municipalizzata del Comune di Castellammare. La Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato illegittimi i licenziamenti. I rapporti di lavoro sarebbero dovuti passare a Sint, altra partecipata proprietaria dei beni termali, dopo il fallimento di Terme, società che invece gestiva quegli stessi beni.

Terme di Stabia, la Cassazione: licenziamenti illegittimi

I 35 ex termali “sono già tutt’oggi dipendenti della Sint, e pertanto non ricorre nessun obbligo di riassunzione in capo a quest’ultima”, come ha confermato l’avvocato Francesco Brizzi, difensore dei lavoratori termali. La partecipata dovrà inoltre versare circa 7 milioni di euro ai dipendenti tra stipendi dal 2015 ad oggi, danni morali e contributi. Sint ha avviato le procedure di licenziamento ma dovrà comunque saldare tali debiti accumulati.

Nel corso di una recente riunione in Regione Campania per affrontare la questione, il sindacato Ugl ha proposto la garanzia di un contratto di lavoro, magari in capo al Comune di Castellammare per gli ex termali.

Gli ex dipendenti della partecipata: “Chiediamo solo di lavorare”

“La decisione della Corte di Cassazione (ordinanza n. 24757/2022 depositata il 12 agosto 2022) – ha spiegato Brizzi – ha dichiarato inammissibile il ricorso della Sint condividendo i rilievi svolti nel controricorso dei lavoratori. Per l’effetto è dunque passata in giudicato la sentenza della Corte di appello di Napoli (sentenza n. 2297/2019, depositata il 28 marzo 2019), che ha annullato il licenziamento disposto dal fallimento Terme di Stabia, dichiarando il subentro della Sint nella titolarità dei rapporti di lavoro a seguito della cessione di azienda accertata in giudizio.

La decisione della Suprema Corte si pone a conferma della bontà della ricostruzione logico-giuridica della vicenda operata dalla Corte di Appello, che a suo tempo aveva recepito la tesi prospettata dalla difesa dei lavoratori sin dal primo grado di giudizio”.

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