“Mio figlio e Tullio erano ragazzi d’oro ricchi di valori e a testimoniarlo oltre alla famiglia c’è un’intera città”. A tre giorni dall’udienza con rito immediato parla Immacolata Esposito, la madre di Giuseppe Fusella ucciso con l’amico Tullio Pagliaro a colpi di pistola a Ercolano la notte tra il 28 e 29 ottobre 2021, mentre stavano in auto davanti all’abitazione dell’imputato Vincenzo Palumbo accusato del duplice omicidio.
Tragedia ad Ercolano, uccisi due studenti scambiati per ladri
Quella notte Palumbo, sparò diversi colpi d’arma da fuoco con la sua pistola perché, disse agli inquirenti, li aveva scambiati per ladri.
“Non posso tollerare di ascoltare quella frase: scambiati per ladri“, spiega la madre di Fusella. Martedì era nell’aula 115 del Palazzo di Giustizia ad ascoltare le parole dell’imputato nel rispondere alle domande del pm e degli avvocati. “Quello che ho udito in quella stanza di Tribunale mi ha gelato il cuore” spiega Immacolata Esposito quando l’imputato ha detto di aver sentito un lamento, di essere tornato indietro per chiamare i carabinieri.
“Sì, ha chiamato i carabinieri ma sono trascorsi ventisei minuti prima che decidesse di chiamarli, ha dichiarato che i carabinieri all’arrivo hanno sentito anche loro i lamenti. Ed io ho pensato subito a mio figlio, mi sono chiesta in quei ventisei minuti cosa avesse pensato, la paura che ha provato, mi sono domandata se in quel momento ha capito che stava morendo, se cercava la mia mano ed io non ho potuto dargliela. Quei ventisei minuti di lamenti come lui li ha definiti, sono stati gli ultimi della vita di mio figlio. Lui ha dichiarato che non l’ha soccorso, e il mio cuore l’ha distrutto due volte”.
Quanto all’ipotesi del perdono, aggiunge: “Perdono? Una persona che ha il coraggio di guardare negli occhi i genitori, come avvenuto martedì in aula, non merita perdono. Lui vede ancora gli occhi di mio figlio che li ha chiusi per sempre. Il perdono deve chiederlo a Dio, perché io non potrò mai perdonare chi ha deciso ingiustamente, e senza motivo, di uccidere mio figlio”.