Il parco idropinico delle Nuove Terme faceva gola ai vertici del clan D’Alessandro. E’ quanto emerge da una recente inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che vede alla sbarra il gotha della cosca con quartier generale al rione Scanzano. In particolare, il ras Sergio Mosca (alias ‘o vaccaro e ritenuto per anni il reggente del clan) in alcune intercettazioni afferma di essere interessato all’acquisto del bene pubblico.
Tutto ciò, al fine di farci un investimento redditizio. “Si compra per un paio di carte (due milioni di euro), un paio di carte e mezzo – afferma Mosca al telefono – ma poi ci vuole un altro milione di euro dentro per metterci le giostre”. Il ras scanzanese affronta l’argomento Terme con un conoscente, discutendo del destino di quei beni della Sint distrutti e abbandonati ormai dal 2016, anno del fallimento.
Le mani del clan D’Alessandro sul parco delle Nuove Terme di Stabia: c’è l’inchiesta dell’Antimafia
Una intercettazione che è stata messa agli atti, nell’ambito del processo Domino che vede alla sbarra 26 esponenti del clan D’Alessandro, tra cui lo stesso Mosca. Un interesse che si sarebbe manifestato poco prima della vendita all’asta di tutti i beni della Sint (la società partecipata che gestisce il patrimonio immobiliare delle Terme).
Secondo i magistrati dell’Antimafia, i vertici dei D’Alessandro avevano anche un’idea sulla futura destinazione del parco idropinico, che poteva diventare una sorta di parco giochi e intrattenimento per famiglie e bambini. Un progetto che è stato poi abbandonato, visto che sempre nelle intercettazioni Mosca lasciava presagire la possibilità di un futuro intervento dello Stato, con il rischio di una confisca che avrebbe vanificato l’investimento.
“Io sono il padrone delle Terme. Qui è tutta roba mia”
Del resto già in altre occasioni, Mosca aveva dimostrato di sentirsi “il padrone di casa” nelle Nuove Terme. Il ras dei D’Alessandro sceglieva infatti il parcheggio della struttura del Solaro per riunioni di camorra, trattative sul traffico di stupefacenti e appuntamenti legati alla vita privata. Il boss sfidava le istituzioni e i controlli. Minacce ad un vigilante, di una società privata con il compito della sicurezza, che aveva provato a mandare via il capo del clan e i suoi uomini.
“Io sono il padrone delle Terme. Qui è tutta roba mia. C’è un solo padrone. Questa è casa nostra” aveva risposto al vigilante che chiedeva spiegazioni sulla sua continua presenza nello stabilimento, chiuso dai giorni del fallimento. Una intercettazione che offre uno spaccato inquietante sul controllo del territorio. Estorsioni, armi e usura nella mappa del potere criminale dei D’Alessandro, ma anche proprietà pubbliche considerate come “roba del clan”. Le Nuove Terme e la scuola Salvati, ormai vuota, erano utilizzate come sedi del clan nella roccaforte di Scanzano.