Poteva essere salvata Rosa Andolfi, la giovane mamma di 29 anni morta nell’ospedale Villa Betania di Ponticelli, nella zona orientale di Napoli, dopo aver dato alla luce il suo secondo figlio, la notte tra il 19 e 20 febbraio 2020: a scriverlo, nero su bianco, sono due consulenti nominati dal giudice Fiammetta Lo Bianco che nella loro perizia rettificano le conclusioni a cui giunsero i periti degli inquirenti.

La famiglia, attraverso gli avvocati Amedeo Di Pietro e Alessandro Milo, adesso chiede la riapertura delle indagini e annuncia di voler denunciare i consulenti della Procura.

Rosa poteva essere salvata, pronta la denuncia dei familiari

“Quanto emerso è gravissimo: nei prossimi giorni la famiglia depositerà una denuncia nei confronti dei consulenti medici“, fanno sapere i legali che, grazie a delle loro indagini difensive, riuscirono anche a scoprire che quella tragica notte in servizio c’era anche un medico rianimatore radiato dall’albo nel 2015.

La 29enne napoletana viveva nella zona di Piazza Mercato, nel centro di Napoli. Ricoverata il 17 febbraio dare alla luce il suo secondogenito, sarebbe stata già in condizioni gravi al suo arrivo, a causa di due malattie congenite differenti e di una patologia respiratoria cronica. Sarebbero state queste a decretare il peggioramento delle sue condizioni, con i medici che decisero di procedere al parto con il taglio cesareo: il 19 febbraio, il bambino venne alla luce nel Dipartimento Materno-Infantile del Villa Betania, pesava due chili e trecento grammi ed era in buona salute. Le condizioni di Rosa Andolfi, invece, precipitarono: ricoverata in Terapia Intensiva per problemi respiratori, morì cinque ore dopo.

Profili di condotta censurabile da parte dei sanitari

Rosa, soffriva di una lieve forma della sindrome di Tourette (tic motori e fonatori incostanti), sarebbe dovuta essere intubata dai sanitari che invece preferirono una ventilazione non invasiva: “…questa condotta rianimatoria – scrivono i due consulenti del Tribunale – unitamente alla errata strategia ventilatoria, hanno determinato notevole perdita di chanches di sopravvivenza per la paziente, che non ha potuto usufruire di una strategia terapeutica, e di una condotta ventilatoria, tali da offrire ampi margini di sopravvivenza/guarigione…“.

Tali profili di condotta censurabile da parte dei sanitari – continuano i due consulenti – unitamente a quelli già esposti e relativi alla gestione pre-operatoria, consentono di affermare… con il criterio del più probabile che non, la sussistenza di un rapporto di causalità materiale fra le predette omissioni e il decesso della paziente“.

Inoltre, a differenza di quanto affermato nella precedente perizia, Rosa, preda di una crisi respiratoria, è rimasta quattro e non due ore in attesa di essere intubata.

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