Estorsioni, minacce, traffici di droga, controllo delle onoranze funebri e addirittura un omicidio pianificato dal carcere: c’è tutto questo nell’inchiesta che ha portato ieri a Caserta all’operazione contro le fazioni Schiavone e Bidognetti del clan di camorra dei Casalesi. I carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 37 persone. Il provvedimento è stato emesso dal gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) partenopea.

Le indagini hanno documentato le attività del clan camorristico nell’arco di oltre tre anni. Consentendo di appurare lo svolgimento di incontri tra esponenti di vertice delle due fazioni criminali finalizzati a concordare il ripristino di una “cassa comune”. Pur mantenendo la loro sostanziale autonomia nei termini operativi, economici e territoriali storicamente a loro appartenuti.

Così i Casalesi controllavano il territorio: 37 arrestati tra le fazioni Schiavone e Bidognetti

Un indagato inoltre avrebbe curato la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali della fazione Schiavone. Lo scopo era quello di attuare il controllo capillare del territorio e il reperimento di somme di denaro indispensabili per il sostentamento del gruppo. In questo modo era possibile affermarsi quale punto di riferimento non solo per gli affiliati ma anche per coloro che, pur non appartenendo al clan, consapevoli della sua posizione di vertice, a lui si sarebbero rivolti al fine di giungere alla soluzione di controversie e dinamiche private.

Oltre al reato associativo, a carico di esponenti delle due fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei Casalesi sono contestate le estorsioni ai danni di numerosi operatori commerciali. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, in un caso, un imprenditore sarebbe stato ferito alle gambe da colpi d’arma da fuoco. E’ contestato inoltre il traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio.

Il clan gestito dagli “eredi”

In particolare, il clan sarebbe stato gestito da uno dei figli del boss Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ‘e Mezzanotte, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria, e rinvenuti con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, impartendo ordini e direttive funzionali alla direzione della fazione e a promuovere le attività illegali eseguite da sodali liberi, arrivando a organizzare un progetto omicidiario in pregiudizio di un noto affiliato, allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all’interno del clan.

Altre due figlie dello storico capoclan, in ragione della loro appartenenza alla famiglia, avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose. La cosca eserciterebbe il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell’agro aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni ’80, attraverso un “consorzio di imprese”, che è stato sottoposto a sequestro.

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