Un telefono cellulare in dotazione di uno dei collaboratori di giustizia, interrogato nel processo sull’omicidio di Raffaele Carolei. Potrebbe essere questo un nuovo elemento di discussione, in vista delle prossime udienze nell’Appello in corso presso la Corte d’Assise di Napoli. Alla sbarra c’è Giovanni Savarese, condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio del ras stabiese.

Determinanti sono state le rivelazioni, rese ai magistrati, dai fratelli pentiti Raffaele e Catello Rapicano, a loro volta condannati a 14 anni, per ricostruire l’esatta dinamica di uno dei delitti più efferati commessi dalla malavita stabiese. Nell’ultima udienza, svoltasi nei giorni scorsi a Napoli, sarebbe emerso questo nuovo particolare.

Castellammare, omicidio Carolei: il caso del cellulare in dotazione al collaboratore di giustizia

Uno dei fratelli Rapicano, sentito per il controesame in collegamento video dal carcere, durante la ricostruzione della scena del delitto avrebbe perso dalla tasca dei pantaloni un telefono cellulare. Un particolare che non sarebbe passato inosservato dai difensori dell’imputato Savarese, i quali potrebbero chiedere ai magistrati di risentire i due collaboratori di giustizia, proprio alla luce di questa importante novità.

Una nuova udienza è fissata per il 20 dicembre prossimo. Sarà allora, con ogni probabilità, che i magistrati napoletani decideranno se accettare o meno le istanze dei difensori di Savarese. Secondo quanto emerso dalle varie fasi del processo, il delitto fu voluto dagli esponenti del clan D’Alessandro, in quanto Raffaele Carolei, soldato del clan Omobono – Scarpa, avrebbe partecipato all’omicidio di Giuseppe Verdoliva, autista e persona di estrema fiducia del defunto padrino Michele D’Alessandro.

La vendetta fu consumata il 10 settembre 2012

La vendetta fu consumata il 10 settembre 2012. Quel giorno, per gli investigatori, con uno stratagemma architettato da Gaetano Vitale (già condannato all’ergastolo) e Pasquale Rapicano, la vittima fu attirata nell’abitazione di Catello Rapicano (situata al centro antico), con la scusa di una chiacchierata di affari relativi al traffico di droga.

Nell’appartamento Carolei venne fatto accomodare al tavolo della cucina, e lì, in un attimo di distrazione, venne sorpreso alle spalle dal padrone di casa che, bloccandolo, permise a Savarese di posizionargli al collo una corda, tirata alle estremità rispettivamente da quest’ultimo e da Pasquale Rapicano, mentre Giovanni Vitale gli bloccava le mani per impedirgli di potersene liberare. Il corpo di Carolei non è mai stato trovato. Secondo il racconto dei pentiti, fu avvolto in una plastica e caricato a bordo di un auto, scortata da uno scooter guidato da Pasquale Rapicano.

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