Dopo l’inizio della Coppa del Mondo FIFA 2022 in Qatar, il Parlamento europeo deplora la morte di migliaia di lavoratori migranti, principalmente nel settore delle costruzioni, che hanno aiutato il Paese a prepararsi per il torneo, e di tutti i feriti. Attraverso una risoluzione sui diritti umani in Qatar – approvata nella plenaria di Strasburgo per alzata di mano – i deputati sottolineano che lo Stato del Golfo ha vinto la gara d’appalto per il Mondiale “in mezzo a credibili accuse di corruzione e concussione”.
Con una stima di oltre 2 milioni di cittadini stranieri che costituiscono circa il 94% della forza lavoro del Paese, il testo accoglie con favore il fatto che, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, il Governo del Qatar abbia rimborsato 320 milioni di dollari alle vittime di abusi salariali attraverso il cosiddetto “Fondo di sostegno e assicurazione dei lavoratori”. I deputati si rammaricano, tuttavia, del fatto che molti lavoratori del Qatar e le loro famiglie “siano stati esclusi dal suo ambito di applicazione” e chiedono che il fondo venga esteso. Riconoscendo l’importante contributo dei lavoratori migranti all’economia del Qatar e alla Coppa del Mondo Fifa 2022, il Parlamento esorta le autorità del Qatar a “condurre indagini complete sulla morte dei lavoratori migranti nel Paese e a risarcire le famiglie nei casi in cui i lavoratori sono morti a causa delle loro condizioni di lavoro”.
Descrivendo la corruzione all’interno della FIFA come “dilagante, sistemica e radicata”, i parlamentari deplorano anche che il processo di assegnazione della Coppa del Mondo di calcio al Qatar nel 2010 “non sia stato trasparente e privo di una valutazione responsabile dei rischi”, e sottolineano come la FIFA “abbia seriamente danneggiato l’immagine e l’integrità del calcio mondiale”.
Il Parlamento europeo deplora “gli abusi perpetrati dalle autorità del Qatar nei confronti della comunità Lgbtq+“. Ciò include “l’uso di leggi nazionali che consentono alle persone Lgbtq+ di essere detenute provvisoriamente senza accuse o processo per un massimo di sei mesi”.