Un morto. Undici dispersi. Tredici feriti, più o meno gravi. Questo è il triste, e terribile, bilancio di sei, sette ore di pioggia incessante sul monte Epomeo, a Ischia. E questa è anche l’istantanea, ancora più amara di un “Paese di cristallo”, che si rompe solo se lo guardi; un paese che frana; un paese fatto di coste consumate dal mare; di fiumi che straripano e allagano e distruggono ettari e ettari di territorio; di case che crollano, di voragini che si aprono e “mangiano” palazzi e persone; di boschi che bruciano. Povera Italia. Povero territorio. Povera, la gente che vi abita. Ischia, il giorno dopo: soccorritori, protezione civile, “gabinetti di crisi”, messaggi di cordoglio dal mondo politico. Quello stesso mondo che, invece di mettere in campo una serie di sostanziosi e puntuali progetto di salvaguardia del territorio, così come geologi, ambientalisti e scienziati illuminati vanno chiedendo, Cassandre inascoltate, da anni, produce leggi scriteriate solo con l’obiettivo di procurarsi consensi a buon mercato.

“Stamane – denuncia Massimiliano Fazzini, geologo, climatologo, docente universitario e Referente del Team sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale, intervenendo sugli eventi di Ischia – l’ennesimo drammatico evento. La splendida Ischia, notoriamente terra fragile dal punto di vista geologico, è stata investita da un sistema temporalesco che ha provocato nuove vittime e danni incalcolabili. Sull’isola sono caduti in 6 ore, tra i 120 ed i 155 mm di pioggia, con un valore orario di oltre 50 mm tra le 4 e le 5 AM. Ed ancora sono in atto precipitazioni fortunatamente più irregolari, che vanno pero a cadere su un suolo e su litologie sature. C’è da rammentare che nell’ultimo mese, la Campania è stata colpita da tre episodi alluvionali, con tipologie di precipitazioni ed effetti sull’ambiente fisico e paragonabili tra di loro in intensità e solo per buona sorte le vittime non sono state più numerose. E dal mese di luglio ad oggi, il dissesto idrogeologico che oramai caratterizza tutti gli ambienti morfoclimatici della penisola, ha mietuto quaranta vittime. Non si può più pensare di proseguire su questa drammatica rotta sulla quale si susseguono situazioni devastanti” .

Denunce, avvertimenti, accuse da parte del mondo scientifico e non c’è anima viva che risponde. Di niente.

A fronte di un patrimonio immobiliare, ad esempio, vecchio di decenni, bisognoso di vedere riconsiderata la stabilità strutturale attraverso interventi sulle strutture portanti, capaci di crollare al cospetto di scosse di terremoto insignificanti, la politica che fa? Fa che licenzia una legge sul recupero energetico dei palazzi e la ristrutturazione delle facciate. Tutto giusto. Ma doveva essere accompagnato da provvedimenti che mettessero le stesse fabbriche in condizioni di resistere a terremoti di almeno sei, sette gradi, visto che il nostro è un paese vulcanico e ad altissimo rischio tellurico. E dunque, ne è venuta fuori la solita “lavata di faccia” perché il terremoto non è che si fermi davanti a un palazzo pittato nuovo o agli infissi di ultima generazione.

Ovviamente, le responsabilità sono antiche. Però il fatto delle “antichità” sulle colpe, se non si comincia a dare dei dati di fatto su di esse, rischia di arrivare alla Roma dei Cesari e di affibbiare al povero Nerone la responsabilità di tutto quanto è successo dopo. Se ruscelli e fiumi sono stati ingabbiati in “bare di cemento” per costruirvi sopra strade e stradine di scorrimento; se gli alvei nei quali avveniva il ruscellamento delle acque meteoriche sono spariti e al loro posto troviamo palazzotti e condomini; se i polmoni verdi, piccoli o grandi, di un paese o di una cittadina, vengono trasformati in parcheggi per auto o in condomini alveari; se lasciamo bruciare intere montagne senza punire chi ne è stato responsabile, per follia o per speculazione, poi la paghiamo cara quando i fenomeni atmosferici diventano “importanti”, come dicono quelli che parlano pulito.

E allora piangiamo i morti, corriamo dai feriti, portiamo la solidarietà, stanziamo somme per soccorsi e ricostruzioni … nello stesso posto di prima… dove magari non si sarebbe dovuto costruire. Coccodrilli, siamo coccodrilli e come loro piangiamo lacrime inutili. E se a qualcuno venisse di pensare che si stia parlando di Sud è bene chiarire che il ragionamento vale per l’intero territorio. Nessun paese, città o regione, esclusa. Chi più, che meno, tutti hanno scheletri nell’armadio… qualcuno tiene anche più armadi degli altri. Siamo una nazione di “armadi”.

Carlo Avvisati

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