Il clan Cesarano di Castellammare di Stabia ha abbandonato lo spaccio di stupefacenti e la microcriminalità, puntando tutto sulle estorsione e sull’usura. E’ quanto emerge dall’ultimo report della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che fa luce sull’impero della cosca con quartier generale al rione Ponte Persica. Un clan che cambia pelle e che, tra le sue principali attività, vede anche l’infiltrazione negli appalti pubblici, “attraverso la corruzione di rappresentanti delle istituzioni politico – amministrative presenti sul territorio”.

Estorsioni e usura, stretta sul clan Cesarano di Castellammare: l’inchiesta dell’Antimafia

I Cesarano sono così riusciti a mettere su, secondo l’Antimafia, un incalcolabile patrimonio finanziario. E si estende anche il raggio d’incidenza del clan fondato da Ferdinando Cesarano, alias zi’ Nando e Ponte Persica, da anni in carcere. Tra gli elementi di spicco ci sono sicuramente Luigi Di Martino (conosciuto negli ambienti criminali come o’profeta) e Nicola Esposito (‘o mostro) anch’egli in carcere.

La cosca gestirebbe le attività illecite nella zona periferica di Castellammare, contando sull’alleanza con i Maragas del rione Cmi, e nei comuni di Pompei e Scafati. E tutto questo, nonostante le numerose operazioni delle forze dell’ordine, che di fatto hanno decapitato i vertici del clan. Ma le nuove leve, insieme agli altri esponenti delle famiglie storiche dei Cesarano, sono riuscite a portare avanti gli interessi criminali proprio facendo leva su questo patrimonio finanziario, accumulato con estorsioni e usura.

Fari puntati sui “colletti bianchi”

Secondo gli inquirenti, la cosca di Ponte Persica avrebbe “la completa ed esclusiva gestione del mercato dei fiori situato al confine tra Castellammare e Pompei, punto nevralgico dell’economia di settore, sia a livello locale che nazionale ed internazionale”. Tanto più che ci sono operazioni specifiche, con vari arresti messi a segno dalle forze dell’ordine, che lo testimoniano. Ma c’è un altro filone d’inchiesta che l’Antimafia sta portando avanti.

E riguarda i cosiddetti “colletti bianchi”, ovvero imprenditori e funzionari pubblici in qualche modo collusi con la camorra. L’obiettivo è quello di scoprire chi sono i fiancheggiatori di uno dei clan più potenti della provincia di Napoli. Secondo il report della Dda partenopea, infine, “anche le istituzioni politico – amministrative presenti sul territorio, inevitabilmente, hanno risentito dell’infiltrazione del clan Cesarano, consentendo l’illecito conseguimento di appalti per opere pubbliche, attraverso la corruzione di pubblici ufficiali”.

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