Traffico illegale di reperti archeologici, oggi il rientro di 60 beni dagli Stati Uniti. Nell’elenco spicca pure un importantissimo affresco pompeiano raffigurante “Ercole fanciullo con serpente” del I sec. d.C., una testa marmorea di “Atena”, una kylix a sfondo bianco e un busto in bronzo. Tutti fanno parte del lotto di ben 60 reperti archeologici di eccezionale che, nell’arco degli ultimi decenni, sono stati commercializzati negli Stati Uniti da trafficanti internazionali, e che ora ritornano a casa. Dove? In Italia, precisamente.

Traffico illegale di reperti archeologici, oggi il rientro di 60 beni dagli Stati Uniti

L’operazione è stata condotta dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (Tpc) insieme al New York County District Attorney’s Office. Oggi, lunedì 23 gennaio, alle ore 13, i reperti sottratti all’illegalità e alle archeomafie saranno presentati a Roma, nella sala Spadolini del ministero della Cultura. La presentazione può essere seguita in diretta streaming sul canale YouTube del ministero: https://www.youtube.com/watch?v=x-RcYKNBHtk. I reperti appartengono alle civiltà romana, etrusca, magnogreca e apula. Il valore complessivo può essere stimato in circa 19 milioni di dollari.

I numeri del business illegale

Il business illecito dell’arte violata è il terzo al mondo per valore, dopo droga e armi. L’archeomafia è anche una straordinaria occasione per riciclare denaro, utilizzando i beni trafugati come moneta di scambio. Del resto, secondo una stima dell’Unesco, il traffico globale annuo si aggira intorno ai 2 miliardi e 200 mila dollari solo per i reperti archeologici. I cosiddetti tombaroli sono il primo anello della catena. Saccheggiano i siti, rubando vasi, anfore, statuine, monete. Ma sono anche i “parenti poveri” del giro. Sono infatti poi i committenti e i ricettatori che piazzano i pezzi sul mercato clandestino.

I tombaroli di Pompei

“Emerge al di là di ogni ragionevole dubbio la perpetrazione di scavi clandestini nel sito indicato in via Civita Giuliana. Gli scavi hanno gravemente e irreparabilmente danneggiato, nel triennio 2014-2017, gli ambienti dell’antica Villa Romana insistente in buona parte sotto l’abitazione degli imputati”. E’ questo uno stralcio delle motivazioni per le quali il giudice del Tribunale di Torre Annunziata, Silvia Paladino, il 20 settembre 2021 condannò in primo grado gli ultimi presunti tombaroli di Pompei.

Giuseppe e Raffaele Izzo, padre e figlio di Torre Annunziata. Grossisti nel commercio della frutta, entrambi con precedenti alle spalle, proprietari di un appartamento al primo piano in via Civita Giuliana proprio a pochi passi dal Parco Archeologico. Sotto questo terreno – secondo le indagini condotte dall’ex pm anticamorra Pierpaolo Filippelli – a partire dal 2014 e fino al mese di agosto 2017 sarebbero stati scavati cinque tunnel clandestini, alti ottanta centimetri e lunghi settanta metri lineari, per saccheggiare i preziosi reperti d’epoca romana rinvenuti dentro gli ambienti rustici e nobiliari della villa suburbana seppellita dall’eruzione del 79 d.C.

Danneggiamento, scavi clandestini, impossessamento di beni archeologici

Una domus resa nota, nel 2019, soltanto grazie al ritrovamento dei calchi di tre cavalli con bardatura militare. Papà Giuseppe Izzo, in primo grado, ha incassato una condanna a tre anni e mezzo di carcere. Suo figlio Raffaele è stato invece condannato a tre anni di reclusione. Danneggiamento, scavi clandestini, impossessamento di beni archeologici e violazione di sigilli, le accuse mosse a vario titolo dall’ex pm anticamorra Filippelli contro i due presunti tombaroli che, difesi dagli avvocati Francesco Matrone e Maria Formisano, ormai sono pronti a d affrontare un secondo processo in appello.

“Gli scavi sono stati realizzati prevalentemente in proprietà Izzo o, comunque, partendo dalla loro proprietà o nelle immediate adiacenze. Sono stati individuati ben tre varchi di accesso – così motiva il giudice di primo grado – ai cunicoli sotterranei: oltre all’ingresso dalla proprietà contigua a quella degli Izzo, ne è stato rinvenuto un altro dalla cantina degli Izzo ed altro ancora da una botola coperta da una baracca in lamiera posta nel giardino degli imputati”.

E ancora: “In alcuni casi il terreno derivante dagli scavi è stato trovato nei tunnel all’interno di cassette per la frutta, circostanza questa che rimanda all’attività svolta da Giuseppe Izzo di vendita di frutta”. Particolarmente significativo, infine, un ulteriore stralcio delle motivazioni: “Le indagini hanno dimostrato il collegamento e i contatti degli Izzo, anche all’epoca dei fatti in contestazione, con noti ricettatori di beni archeologici”.

Salvatore Piro

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