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Tullio e Giuseppe uccisi ad Ercolano per “futili motivi”. L’imputato si è tradito con le telefonate

Esiste ed è provata scientificamente l’aggravante dei futili motivi”: a sottolinearlo, ieri, nell’aula 115 del Nuovo Palazzo di Giustizia, l’avvocato Maurizio Capozzo legale della famiglia di Tullio Pagliaro, ucciso con un colpo di pistola alla testa la notte il 28 e 29 ottobre 2021 a Ercolano, mentre era in auto con Giuseppe Fusella, anche lui assassinato allo stesso modo perché entrambi scambiati per ladri. Imputato è l’autotrasportatore Vincenzo Palumbo, accusato di duplice omicidio volontario aggravato.

Nella sua arringa l’avvocato Capozzo ha ribadito che Palumbo, “un soggetto sano che ha avuto una reazione abnorme” era unicamente animato “dalla volontà di lavare l’onta” di un furto in casa subìto il mese prima. Per questo non esitò a prendere la sua pistola e sparare.

Poi l’avvocato Capozzo ha sottolineato: “E Palumbo non è un principiante con le armi, è un cacciatore, aveva il porto d’armi per la caccia (oltre quello per uso sportivo) ed è abituato a sparare a bersagli in movimento, a una quaglia che vola. Sapeva certamente che sparare così come ha fatto significava uccidere”.

L’avvocato, che nei giorni scorsi ha consegnato un’ampia e dettagliata memoria alla Corte di Assise, ha poi delineato il comportamento del camionista dopo avere sparato contro la Fiat Panda dei ragazzi: “Li ha visti lì, agonizzanti, e non li soccorre, non li aiuta, dopo avere commesso un grossolano errore… che considerazione possiamo avere di una persona che non ha avuto nessuna pietà umana“.

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Un filo di commozione nelle parole del legale che ha aggiunto e concluso: “I genitori mi hanno sempre detto qualunque sia l’esito nessuno ci potrà restituire nostro figlio e niente potrà attenuare il dolore per la sua morte. Palumbo ha distrutto le famiglie delle due vittime, ma anche la sua, e una pena esemplare non significa che la società si è vendicata“.

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Nelle due telefonate effettuate quando aveva finito di sparare, Vincenzo Palumbo si sarebbe tradito: l’uomo ha sempre sostenuto che i ladri gli erano entrati in casa, mentre parlando con le forze dell’ordine ha più volte dichiarato “ci sono i ladri fuori casa” e ancora “mi sono trovato due-tre ladri fuori casa… ho sparato un paio di colpi...”.

Questo quanto sostenuto dall’avvocato Gennaro Bartolino, legale della famiglia Fusella, durante l’udienza in davanti ai giudici della prima Corte di Assise, presidente Teresa Annunziata.

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Non chiede mai scusa alle vittime – ha aggiunto Bartolino – non ha mai pronunciato questa parola”, Giuseppe e Tullio, aggiunge “erano due fiori recisi, non dalla falce o dall’aratro ma dalle pallottole. E sono quelle che parlano, e ci dicono che l’imputato ha sparato per uccidere, i suoi erano colpi mirati“.

Per corroborare la tesi secondo la quale Palumbo avrebbe fatto fuoco per ammazzare, Bartolino evidenzia tre punti: vi erano dei lampioni nei pressi dell’abitazione dell’imputato; la Panda aveva i fari accesi e le luci del terrazzo di casa sua le aveva accese prima di uscire sull’uscio armato di pistola. Inoltre le condizioni meteo quella notte erano ottimali, quindi la visibilità era perfetta e chiunque, con le sue doti di abile tiratore, se avesse voluto intimidire eventuali ladri, non avrebbe potuto commettere errori sparando.

Inoltre la distanza tra l’auto e colui che ha sparato era piuttosto ravvicinata: in sostanza per un tiratore esperto come Palumbo era veramente impossibile sbagliare il bersaglio. Eppure ha colpito più volte l’auto, ben sei, uccidendo prima Giuseppe che era alla guida e poi Tullio. “Non è un errore, non è una aberratio ictus”, ha evidenziato l’avvocato.

La madre di Fusella, Immacolata Esposito, a questo punto, non ha potuto trattenere le lacrime, presa dallo sconforto ha abbandonato l’aula in preda al dolore.

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