Una città divisa in due, per gestire i traffici illeciti senza interferenze e garantire introiti da capogiro ad entrambe le cosche: e così la zona nord di Castellammare (quella che parte da Ponte Persica e tocca il rione Cmi, fino al confine con Pompei) sarebbe appannaggio del clan Cesarano, mentre il resto è sotto il controllo dei D’Alessandro. È l’elemento emerso nel corso della prima udienza del processo – stralcio di Olimpo, che vede alla sbarra vertici e gregari delle due organizzazioni criminali cittadine.
Castellammare, processo “Olimpo”: la città divisa in due per gestire i traffici illeciti
Tra gli imputati figurano Teresa Martone (moglie dell’ex e defunto capoclan Michele D’Alessandro, già alla sbarra anche nel processo Cerberus iniziato ad inizio marzo) e i figli Pasquale e Vincenzo D’Alessandro, entrambi attualmente liberi dopo aver scontato pesanti condanne, nonostante siano ancora considerati ai vertici del clan. Lo spaccato criminale che emerge dall’inchiesta conferma la massiccia influenza delle cosche sul territorio cittadino.
Un territorio che, nella periferia nord, vedrebbe il giro delle estorsioni soprattutto (ma anche della droga e di altri affari illeciti) nelle mani dei Cesarano, con il quartier generale al rione Ponte Persica. E i D’Alessandro, che restano la cosca egemone a Castellammare, pronti al controllo del restante territorio. Nel processo Olimpo è già emerso che gli uomini e le donne dei due clan principali di Castellammare, sono accomunati dall’accusa di aver messo in ginocchio molte imprese della città, imponendo il pizzo.
Estorsioni che (negli anni) hanno garantito alla camorra introiti fino a 200mila euro
Accuse che dovranno ovviamente essere confermate in sede di processo. E i magistrati, grazie soprattutto all’azione investigativa delle forze dell’ordine e al racconto dei collaboratori di giustizia, stanno provando a ricostruire estorsioni che (negli anni) hanno garantito alla camorra introiti fino a 200mila euro. Soldi ottenuti con minacce e ritorsioni nei confronti degli imprenditori che tentavano di sfuggire al pagamento della tassa imposta dalla criminalità organizzata. Per i magistrati emerge chiara la figura di Teresa Martone, ritenuta per anni a capo della cosca, nel periodo in cui i figli si trovavano in carcere per altri reati.
Una figura carismatica, secondo quanto accertato dagli inquirenti, in grado di mantenere il predominio degli scanzanesi negli anni. A Teresa Martona i magistrati dell’Antimafia di Napoli contestano di aver imposto il pizzo a un’azienda stabiese. Per quanto riguarda invece la cosca dei Cesarano, nel processo compaiono i nomi di Aldo Vispini e Luca Salvatore Carrano, ritenuti dagli inquirenti gli esattori della cosca di Ponte Persica.