La Corte di Assise di Napoli ha condannato a 23 anni di carcere i fratelli Giorgio e Domenico Scaramella, e Francesco Cirillo e il figlio Antonio, ritenuto l’autore della coltellata mortale, per l’omicidio volontario di Maurizio Cerrato, il 61enne custode degli scavi di Pompei, ucciso a Torre Annunziata, davanti alla figlia, con una coltellata al cuore, la sera del 19 aprile 2021, in via IV Novembre, dopo una lite per un parcheggio.
La Corte d’Assise di Napoli ha escluso i futili motivi
La sentenza è stata emessa nell’aula 116 del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli dalla seconda sezione penale, presieduta dal giudice Concetta Cristiano, al termine di una camera di consiglio iniziata dopo la discussione di due avvocati del collegio difensivo composto da Antonio de Martino, Antonio Rocco Briganti, Antonio Iorio e Maria Montuoro. La famiglia Cerrato è stata invece difesa dall’avvocato Giovanni Verdoliva.
La Corte d’Assise di Napoli ha escluso l’aggravante dei futili motivi che era, invece, stata contestata dalla Procura di Torre Annunziata. Si tratta della pronuncia di I grado, giunta a poco meno di due anni da quella tragica sera.
L’assurda storia della morte di Maurizio
Cerrato era intervenuto per difendere la figlia, Maria Adriana, che aveva parcheggiato l’auto in un posto in strada occupato arbitrariamente dalla famiglia di uno degli imputati con una sedia. Un diritto di prelazione cui la ragazza si era ribellata: aveva spostato la sedia e fermato regolarmente la vettura. Al ritorno però aveva trovato uno degli pneumatici bucato. Alle sue rimostranze era stato affrontata e schiaffeggiata.
Per questo aveva deciso di contattare il padre che era giunto sul posto e aveva subito notato il clima pesante. Nel cosso dell’accesa discussione era stato costretto a venire alle mani con uno dei condannati, rompendogli gli occhiali, ma si era anche offerto di ricomprarli per riportare la calma. Poi aveva deciso di andare in una vicina area di parcheggio privata per sistemare l’auto della figlia e tornare a casa.
A casa però Maurizio Cerrato non è mai più tornato: nel parcheggio fu affrontato da più persone, picchiato, nonostante il tentativo di intervento della ragazza, trattenuto e accoltellato al petto riportando una ferita che poi gli risultò fatale.
Dopo la coltellata mortale, Antonio Cirillo, autore materiale della coltellata al 61enne, e Giorgio Scaramella si dileguarono rapidamente in sella ad uno scooter, stessa cosa fece Francesco Cirillo ma a piedi. Sul posto rimase solo Domenico Scaramella che aiutò la figlia di Cerrato a caricare in auto il corpo ormai esanime del padre per quella che risultò una vana corsa in ospedale.
La Procura di Torre Annunziata aveva chiesto l’ergastolo
Proprio la Procura oplontina, lo scorso 7 marzo, aveva chiesto l’ergastolo per i quattro imputati: a formulare le richieste è stato il sostituto procuratore Giuliana Moccia al termine di una lunga e circostanziata requisitoria durante la quale il magistrato ha ripercorso tutte le fasi di quella tragica sera.
Ed erano proprio tanti quelli che si aspettavano una condanna esemplare per un atto inaccettabile non degno di una società che usa definirsi civile. L’ergastolo sembrava la condanna giusta per una vita troncata a sangue freddo. Una coltellata al cuore di un uomo dopo una lite per un parcheggio. Un posto macchina in strada che qualcuno aveva ritenuto pari ad una proprietà privata occupandolo con una sedia, che nessuno avrebbe dovuto spostare, perchè il loro mondo va così, in barba alla legge, alla convivenza civile, alla vita. Un mondo che nulla dovrebbe avere a che fare con Torre Annunziata, con Napoli, con l’Italia, con il mondo civile. Una giungla buia, dove il male oscuro, che da troppo tempo azzanna alla gola l’antica e nobile Oplonti, lascia mano libera alle “belve” che la abitano.
Ma la Corte d’Assise di Napoli ha escluso l’aggravante dei futili motivi e quindi niente ergastolo.
Tania Sorrentino: “Oggi ha perso lo Stato”
Presenti, per la famiglia Cerrato, come in quasi tutte le udienze, la vedova, Tania Sorrentino, e la figlia della vittima, Maria Adriana. Il primo commento della signora Tania Sorrentino subito dopo la sentenza è stato: “Io ho perso già due anni fa quando mi hanno strappato mio marito. Oggi invece ha perso lo Stato“.
Ora bisognerà attendere tre mesi di tempo per conoscere le motivazioni di una sentenza che lascia interdetta un’intera città che troppo spesso deve lottare per pretendere legalità e rispetto della legge e delle persone. Molto probabile che la Procura di Torre Annunziata, insieme ai familiari di Maurizio, appelleranno comunque la sentenza di condanna.
Gli imputati sono stati condannati anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento dei danni nei confronti dei familiari: 60mila di euro di provvisionale sono stati riconosciuti alla vedova, 30mila euro in favore della figlia della vittima di quel branco impazzito. Risarcimento di 20mila euro già riconosciuto pure al Comune di Torre Annunziata, costituitosi come parte civile a processo assieme alla fondazione regionale anticamorra Polis.
Certamente le sentenze vanno rispettate, ma non si può restare indifferenti quando degli assassini riescono ad evitare il massimo della pena. È evidente che ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di giustizia a metà.
Gennaro Cirillo