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Grumo Nevano: omicidio Rosa Alfieri, ergastolo per Elpidio D’Ambra

E’ stato condannato all’ergastolo Elpidio D’Ambra, il 32enne imputato per il violento l’omicidio di Rosa Alfieri, la 23enne uccisa il 1° febbraio 2022 a Grumo Nevano.

La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’Assise di Napoli, dinanzi alla quale si è celebrato il processo sull’efferato omicidio della ragazza, strangolata, secondo quanto ricostruito dalle indagini della Procura di Napoli Nord, per essersi ribellata a un tentativo di violenza sessuale da parte di D’Ambra, suo vicino di casa.

La sentenza è stata emessa dopo una breve Camera di Consiglio. Presente in aula, tra gli altri, il padre della giovane vittima, Vincenzo Alfieri.

L’uomo subito dopo la folle fuga e l’arresto lampo aveva confessato l’omicidio. Lo scorso 28 marzo il sostituto procuratore della sezione “fasce deboli” della Procura di Napoli Nord Rosanna Esposito aveva chiesto l’ergastolo ai giudici.

La giovane Rosa fu particolarmente sfortunata quel giorno, mentre rientrava a casa. Preda di un crudele ed inspiegabile gesto di feroce violenza che ancora oggi in tanti non riescono ad accettare.

I fatti di quel tragico primo giorno di febbraio di circa un anno fa

Il 1° febbraio 2022 D’Ambra attirò nel monolocale al pianterreno del palazzo di via Risorgimento a Grumo Nevano, la vicina di casa, la 23enne Rosa, fingendo di volerle chiedere chiarimenti circa una bolletta della luce. Il 32enne aveva affittato due settimane prima l’appartamento proprio dal padre della vittima: l’edificio, dove al primo piano viveva anche Rosa con i genitori, è infatti di proprietà della famiglia Alfieri.

Rosa sarebbe stata afferrata per le spalle e trascinata a forza dentro il mini appartamento. La giovane ragazza provò a difendersi e probabilmente anche ad urlare. Ma la sorte con lei non fu benevola: nessuno si trovava nel cortile, mentre in casa la mamma sembra stesse usando l’aspirapolvere, il cui rumore avrebbe coperto le urla.

Prima picchiata, poi strangolata lentamente per aver tentato di reagire al probabile tentativo di stupro. La reazione di Rosa probamente ha trasformato l’aggressore nel mostro che si è rivelato: zittì la vittima infilandole uno straccio in bocca e, quando la giovane donna provò a liberarsi da quel bavaglio per cercare ancora una volta aiuto, il suo assassino le strinse con forza una sciarpa intorno al collo fino ad ucciderla.

La scomparsa di rosa allarmò la famiglia

L’auto di Rosa era in cortile, ma di lei nessuna traccia. Prima la madre, poi il fratello minore, di 12 anni, e il padre presero a cercarla. Vincenzo Alfieri, papà di Rosa, stimato imprenditore, titolare di una piccola fabbrica per la confezione di capi di abbigliamento, avrebbe anche bussato alla porta del 32enne che negò di aver visto la giovane.

A quel punto l’assassino, che quasi certamente aveva già consumato l’efferato delitto, chiuse la porta dell’appartamento e svanì letteralmente nel nulla, allontanandosi come se nulla fosse successo.

A scoprire il corpo della povera Rosa, proprio il padre Vincenzo

Fu Vincenzo Alfieri, qualche ora dopo, a rinvenire il corpo senza vita della figlia. Il cadavere di Rosa era sul pavimento del bagno, con uno straccio in bocca, parte dei vestiti strappati e una sciarpa stretta ancora intorno al collo. L’uomo a quel punto ebbe un comprensibile tracollo psicologico, uscì in strada ripetendo che la figlia era stata uccisa, ripetendo il nome, Rosa, della giovane vittima. Fu soccorso dagli abitanti di via Risorgimento che poi avvertirono i Carabinieri.

La caccia all’uomo si concluse in meno di 24 ore

Fu cercato ovunque senza sottovalutare alcuna ipotesi e battendo tutte le tracce. Da Roma alla Spagna, dove Elpidio aveva vissuto per un periodo avendo anche a che fare con la legge. Le ricerche si erano estese anche nei casolari della sperduta periferia a nord di Napoli e dei vecchi casolari rustici e agricoli disabitati. Qualcuno era arrivato ad immaginare che si fosse addirittura tolto la vita, dopo aver ucciso la sfortunata Rosa.

I carabinieri avevano posto sotto osservazione anche il domicilio della madre e di alcuni familiari, ma anche alberghi, pensioni e B&B del Napoletano e tutti i luoghi nei quali il giovane avrebbe potuto cercare rifugio. Inutili erano stati anche i tentativi di intercettare l’uomo attraverso il controllo del Gps satellitare dell’auto, come pure del cellulare, che risultava sempre spento. Dalle immagini di videosorveglianza, era stato individuato in stazione, a Frattamaggiore, cosa che aveva anche fatto pensare ad una fuga all’estero.

E invece, alla fine la soluzione del mistero era molto più vicina, Elpidio D’Ambra era in ospedale, al San Paolo, nel quartiere di Fuorigrotta, dove si era spontaneamente presentato in stato di alterazione psichica, forse dovuto ad uso di stupefacenti, per un malore che sarebbe sopraggiunto dopo aver girovagato per tutta la notte e la giornata del 2 febbraio.

Due poliziotti, che per caso si trovavano in servizio per la raccolta di alcuni documenti al pronto soccorso del nosocomio napoletano, si accorsero dell’uomo riconoscendo il ricercato: dopo la richiesta dei documenti, la conferma dell’identità del presunto omicida e l’arresto.

Il “mostro” della porta accanto e le “voci nella testa”

Dal momento dell’arresto, quello che fu definito il “mostro” della porta accanto, ammise di aver strangolato Rosa, ma non di averla violentata. Né picchiata. Dall’autopsia risultarono evidenti, invece, i segni di una colluttazione tra la vittima e il suo assassino, conclusasi con lo strangolamento.

Poi D’Ambra cominciò a cercare quella che in tanti pensarono fosse solo una misera via di fuga da una condanna, che il Paese tutto chiedeva fosse esemplare: le voci nella testa.  Quelle voci che gli continuavano a dire “uccidi… uccidi”. Nel corso dell’interrogatorio il 32enne ammise anche di essere un consumatore abituale di cocaina, sostanza che aveva consumato anche il giorno dell’omicidio.

Oggi la sentenza all’ergastolo ha confermato che anche i giudici non hanno creduto alle cosiddette “voci” è hanno giustamente condannato un colpevole.

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