Arrestata Teresa Martone: per gli inquirenti è stata al vertice della cosca del rione “Scanzano” di Castellammare di Stabia, in quanto moglie dell’ex e defunto padrino Michele D’Alessandro. Ieri mattina le è stato notificato un provvedimento per la carcerazione, emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli – ufficio esecuzioni penali. La Martone ha 76 anni e dovrà espiare la pena residua di 7 mesi e 25 giorni di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsione, commessi a Castellammare di Stabia tra il 2014 e il 2015.
Castellammare, camorra: arrestata Teresa Martone. “È stata al vertice del clan D’Alessandro”
Ad eseguire il provvedimento sono stati, ieri mattina, i carabinieri del nucleo operativo stabiese, agli ordini del maggiore Carlo Venturini e del tenente Tommaso Errico. L’episodio estorsivo incriminato, nell’ambito del processo Olimpo, è stato perpetrato ai danni di Adolfo Greco (imprenditore re del latte) che ebbe nella sua sede la visita di Teresa Martone, accompagnata da un nipote all’epoca dei fatti minorenne. È proprio la vedova di Michele D’Alessandro, secondo gli inquirenti, ad accompagnare il nipote dall’imprenditore Greco, con il quale il clan D’Alessandro aveva aperto un canale di dialogo in funzione del racket delle estorsioni.
Nello stesso processo Olimpo c’erano alla sbarra capi e gregari di quattro cosche
Per il giovane è il battesimo di fuoco, nel solco degli insegnamenti di lady camorra. Una donna che, sempre secondo la versione dell’Antimafia, ha assunto per anni il ruolo di comando della cosca scanzanese, ritenuta egemone negli affari illeciti della città di Castellammare di Stabia. E nello stesso processo Olimpo c’erano alla sbarra capi e gregari di quattro cosche dell’area stabiese: i D’Alessandro, i Cesarano, gli Afeltra e i Di Martino. Tutti sono accusati a vario titolo di estorsione ed associazione di stampo camorristico e sono residenti tra Castellammare, Pompei, Gragnano, Pimonte e Agerola.
Secondo la tesi accusatoria dell’Antimafia, i clan stabiesi e dei monti Lattari avrebbero dato vita ad una sorta di “santa alleanza” per spartirsi le attività illecite sul territorio. Secondo gli inquirenti il pizzo era gestito dai clan Cesarano, D’Alessandro e Afeltra – Di Martino secondo una spartizione territoriale e accordi che prevedono confini territoriali ben precisi, con Castellammare divisa a metà “per competenza”, e il racket ad Agerola e Pimonte gestito da un’altra cosca. Un vero e proprio patto di non belligeranza, per gestire meglio gli affari illeciti sul territorio.