L’alloro di Ovidio il 25 aprile per la corona all’Altare della Patria

La scelta di questa pianta non è casuale e sottintende un'affascinante storia che ci riporta alle antiche radici della nostra civiltà

Per le celebrazioni del 25 aprile all’Altare della Patria, per la Festa della Liberazione, come da consuetudine il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per l’occasione affiancato dalla premier Giorgia Meloni, dal presidente del Senato Ignazio La Russa, dal presidente della Camera Lorenzo Fontana e da altre cariche istituzionali tra cui il ministro della Difesa Crosetto, ha deposto al Milite Ignoto la corona di alloro.

La scelta di questa pianta non è casuale e sottintende un’affascinante storia che ci riporta alle antiche radici della nostra civiltà.

Un tempo l’umanità era profondamente connessa alla natura del pianeta. Da questa relazione intima, paragonabile al rapporto madre-figlio, l’uomo traeva una notevole fonte di ispirazione, cosicché ogni espressione culturale prodotta era, in buona sostanza, la celebrazione di questo legame.

Un corso d’acqua, una pianta, un animale, una roccia, il vento, il fulmine… insomma tutto quanto ci circonda era espressione di una forza naturale, ora benigna ora maligna, capace di indirizzare la vita sulla terra.

Il poema epico “Le metamorfosi” scritto da Publio Ovidio Nasone, pochi anni dopo la nascita di Cristo, restituisce al lettore moderno numerosi racconti, dell’antica mitologia greca e romana, chiaramente ispirati dalla suggestiva potenza della natura. Tra questi è particolarmente interessante la vicenda che portò alla nascita dell’albero di alloro.

Il potente Dio Apollo, colpito dal dardo di Cupido, si invaghisce follemente della bellissima Dafne. La giovane ninfa, per beffardo volere del Dio dell’amore, rifiuta ostinatamente il divino corteggiatore e decide che resterà illibata.

Apollo stregato, desidera l’amplesso a tutti i costi e, preso dal desiderio, insegue la vergine deciso a possederla con la forza “… non volle più oltre il giovane Dio gettarle dietro inutili blande parole, e, come amore lo spingeva, corse su le sue orme con passo non più trattenuto”.

La ninfa scappa disperata, l’inseguitore tuttavia è più veloce e in breve è sul punto di afferrarla. Dafne vedendosi persa prega affinché la sua grazia svanisca “Aiutami, padre, se i fiumi hanno forza divina! Distruggi, mutandola, la bellezza per cui son troppo piaciuta!”.

La supplica è accolta e “… un torpore grave le occupa le membra, il delicato seno si cinge d’una sottile corteccia, i capelli si mutano in fronde, in rami le braccia; il piede … le aderisce al suolo con pigre radici … Solo rimane in lei lo splendore.”. Terminata la metamorfosi la bella Dafne è tramutata in albero di alloro.

Apollo tuttavia ancora è innamorato di lei “ … porta sul tronco la mano, sente sotto la recente corteccia palpitare il seno; e, cingendo con le sue braccia i rami come se fossero ancora membra, dà baci al legno…” e per appagare l’indomabile sentimento decide che l’albero di alloro sarà a lui consacrato.

Ancora oggi a distanza di duemila anni, per i fatti pocanzi narrati, i rami di quest’albero ornano i simboli del potere e il capo di chi è maestro nelle arti di cui Apollo era la divinità.

Ferdinando Fontanella

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