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Castellammare, ultima udienza per l’incandidabilità: la sentenza sarà resa nota nelle prossime settimane

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A Castellammare di Stabia si va verso l’incandidabilità per l’ex sindaco Gaetano Cimmino ed altri ex assessori e consiglieri comunali dell’ultima esperienza amministrativa. Una esperienza che si è interrotta traumaticamente nel febbraio 2022, con lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche dell’assise cittadina e l’arrivo dei commissari prefettizi. Si è svolta ieri pomeriggio, presso la prima sezione civile del tribunale di Torre Annunziata, l’udienza finale del processo che vede coinvolti 14 politici stabiesi.

Castellammare, ultima udienza per l’incandidabilità

La sentenza sarà resa nota nelle prossime settimane, ma già ieri pomeriggio l’Avvocatura di Stato ha proposto l’incandidabilità per i prossimi 5 anni nei confronti dell’ex sindaco Cimmino, del suo vice Antonio Cimmino e dell’ex presidente del civico consesso Emanuele D’Apice, tra i principali esponenti del centrodestra di Castellammare di Stabia. Il provvedimento è stato richiesto anche per gli ex assessori Fulvio Calì, Sabrina Di Gennaro, Antonella Esposito, Giovanni Russo. Stessa cosa per gli ex consiglieri Annamaria De Simone, Lello Tito, Barbara Di Maio, Vincenza Maresca.

La sentenza sarà resa nota nelle prossime settimane

Proposta l’incandidabilità anche per i rappresentanti della minoranza Eutalia Esposito, Francesco Iovino e Giovanni Nastelli. Il collegio giudicante -composto dal presidente Marianna Lo Piano e dai giudci Angelo Scarpati e Raffaella Cappiello – si è riservato di decidere a breve, anche alla luce della richiesta (formulata sempre ieri pomeriggio dal Pm) che invece chiede l’assoluzione per Antonio Cimmino, Antonella Esposito, Russo, De Simone, Maresca, Eutalia Esposito e Nastelli.

Da specificare che nell’atto notificato dal Tribunale oplontino non viene citato nessun riferimento alle eventuali responsabilità dei politici nei fatti che hanno portato allo scioglimento del comune stabiese per infiltrazioni camorristiche, ma mette in rilevanza i legami parentali e confidenziali con diversi esponenti della malavita locale. L’accusa, nonostante non siano state rilevati collegamenti tra l’assegnazione degli appalti finiti nel mirino dei commissari prefettizi e la responsabilità della politica, sostiene che la fitta rete di parentele e frequentazioni abbia favorito l’ingresso della camorra a Palazzo Farnese.

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