Si può veicolare la cultura della legalità attraverso un libro? È la domanda dalla quale ha preso spunto il dibattito tra rappresentanti delle istituzioni, delle forze armate e dei media, in occasione di un incontro tenutosi mercoledì scorso nella Sala Barberia del Senato della Repubblica, a Roma, su iniziativa del senatore Orfeo Mazzella, al quale hanno partecipato, oltre allo scrittore e giornalista Giovanni Taranto, il generale dell’Arma dei Carabinieri Alfonso Manzo, Paolo Siani, Gianmario Siani (presidente della Fondazione Giancarlo Siani), il senatore Luigi Nave della Commissione Antimafia, Tullio Morello del CSM e Mariasole Di Maio, giovane attrice della fiction “Un posto al sole”, protagonista, a soli 17 anni, del film “Il diario di Carmela” (storia di una ragazzina di 15 anni, che vive alla periferia di Napoli ed è costretta a lavorare per la piazza di spaccio della sua famiglia).
Il libro in questione è “Mala fede”, ultimo lavoro editoriale proprio di Giovanni Taranto, pubblicato lo scorso settembre, ma anche i due romanzi che lo hanno preceduto in ordine di tempo ‒ “La fiamma spezzata” e “Requiem sull’ottava nota”, editi da Avagliano ‒ che hanno per protagonista il capitano Giulio Mariani, “romano de Roma”, comandante dell’Arma dei Carabinieri nel Vesuviano, trapiantato nella realtà partenopea degli anni Novanta.
Taranto è uno scrittore, ma è anche e soprattutto un giornalista specializzato in cronaca nera, giudiziaria e investigativa. Esperienza, questa, che lo ha portato ad operare a stretto contatto con gli uomini dell’Arma e a offrire, prima con i suoi articoli e poi nei suoi libri, la fotografia reale del vissuto di quegli uomini, di una vita intesa come missione e non come lavoro.
Viene spontaneo chiedergli che cosa lo abbia spinto a ricorrere alla narrazione in forma di romanzo, dopo tanti anni di impegno come cronista alla ricerca della verità, in un percorso che ci immaginiamo disseminato di ostacoli, specie quando l’illegalità assume le sembianze della normalità e diventa legale.
“Credo si debba invertire il ‘meccanismo esorcistico’ che spinge la gente a non approfondire più certi temi” ci risponde Taranto. “E forse si può farlo invertendo il flusso che per tanti anni mi ha visto fare il mio mestiere di giornalista in un territorio complesso e articolato come quello del Vesuviano, lavorando su personaggi e temi reali, e inserendoli in una trama di fantasia senza per questo rinunciare ad essere avvincente. Indorando la “pillola” su fatti percepiti con indifferenza e fastidio perché fanno paura, e perché sono troppi e troppo simili, e instillando nei giovani, che sto avvicinando alla lettura dei miei libri grazie agli incontri nelle scuole, la necessità di fare una scelta di campo precisa e decisa”.
Possiamo parlare, quindi, di un punto di vista diverso e più accattivante sulla realtà, che abbia anche un fine educativo e di maggiore sensibilizzazione su ciò che succede intorno a noi.
“Parlerei dell’intenzione di proseguire idealmente il mio percorso di cronista, abbandonando la strada della mera nozione, che si è dimostrata spesso una strada a senso unico, e giocando, invece, la carta dell’emozione. Che significa arrivare alla verità invogliando il lettore a chiedersi che cosa succederà nelle pagine successive dei miei libri, stimolando la sua curiosità e lasciando una traccia. Quella, appunto, dell’emozione”.
Ritiene che, in tempi dominati da una comunicazione di rapido consumo via social, un libro possa ancora lasciare una traccia nel vissuto temporale ed emotivo di un lettore, soprattutto giovane?
“È quello che mi auguro e che spero, nel mio piccolo, di contribuire a fare, suscitando, con il racconto delle indagini del capitano Mariani, una consapevolezza resa più efficace dal coinvolgimento emotivo del lettore. Un coinvolgimento che gli faccia avere una visione obiettiva di quello che sta leggendo, grazie al racconto dei fatti non solo dal punto di vista di chi si rende responsabile di atti criminali, ma anche delle vittime”.
Dunque, c’è speranza.
“Dobbiamo esserne convinti, soprattutto pensando alle nuove generazioni. Ma è nostro compito, già dalla famiglia, dalla scuola e dalla pratica sportiva come contesto di aggregazione, fornirgli un “” che le metta nelle condizioni di capire e di saper scegliere. Offrendo loro dei modelli culturali ai quali potersi ispirare e con i quali identificarsi. E coinvolgendoli attivamente. Perché, sentendosi protagonisti, sono capaci di tirare fuori il meglio di sé”.
Viviana Rossi