“Vedere bene. Il risultato eccellente si può avere solo se c’è la luce che accarezza adeguatamente il modellato uniforme”. Che è la forma della superficie e del volume delle immagini, percepita a seconda del ruolo svolto dalla luce. E che permette a Mimmo Jodice di scoprire i soggetti da fotografare. Di vederli.
La mostra “Mimmo Jodice. Senza tempo”, allestita negli spazi espositivi delle Gallerie d’Italia, a Torino, fino al 7 gennaio 2024, presenta al visitatore una sintesi dell’opera del fotografo napoletano, classe 1934, in costante attività. Una vita intensa, la sua, passata attraverso un’infanzia nel quartiere Sanità, le ferite della guerra, l’amore per l’adorata moglie Angela e i figli, gli amici, i viaggi per il mondo e i numerosi incontri, le mostre e i riconoscimenti, le gioie e i dolori dell’esistenza.
Sintesi ben rappresentata anche dal documentario a lui dedicato dal regista conterraneo Mario Martone, che viene proiettato nell’ultima sala del percorso di visita, a completamento di un itinerario immersivo nella capacità di Jodice di creare visioni. “Tutto quello che succede in fotografia, succede sempre prima in visione” dice Jodice, che aspetta le condizioni di luce ottimali, o, quando è possibile, orienta il soggetto in modo da “avere la migliore percezione fotografica possibile” e poi fare la foto.
Sono 80 gli scatti della mostra torinese, realizzati tra il 1964 e il 2011, e ripartiti in tante sezioni quanti sono i temi che hanno ispirato l’arte del fotografo partenopeo.
“Anamnesi” è “una sequenza di volti tratti dalla statuaria e dai mosaici antichi, volti che hanno visto vicende lontane. “Linguaggio” racchiude il significato che per Jodice ha sempre avuto il processo di lavoro in camera oscura, dove il fotografo, tra il tempo della ripresa e quello della stampa, può “ampliare questa dimensione estetica, guardando come accentuare o diminuire la quantità di luce”, continuando a modellare il risultato, e giungendo a una dimensione creativa, libera e autonoma della sua poetica.
“Vedute di Napoli” e “Città” rispecchiano “un sentimento di disagio verso la vita quotidiana” che rende visibile il paesaggio urbano “in tutti i suoi particolari”, ma che è “fermo, congelato, non appartiene alla quotidianità” afferma Jodice. Da Montréal a Roma, da Milano a Venezia, da Torino a Parigi, i ritratti dei centri urbani rivelano la ricerca di “una dimensione tra silenzio e assenza, capace di offrire un sostegno alla mia incapacità di accettare il caos e la follia che abbiamo intorno a noi”.
La sezione “Natura” integra di un nuovo capitolo la costante ricerca e sperimentazione dell’artista, ispirata dal tema della natura morta, fonte, per lui, di serenità, e trasformata in “metafora della violenza e dell’aggressività del nostro tempo”.
Infine, “Mari” è una dichiarazione d’amore per quel “luogo privilegiato dove si incontrano realtà e sogno, quel mare eterno che videro i primi naviganti e che vedranno gli abitanti della Terra in futuro… Sul mare, il tempo si arresta definitivamente”.
La musica è una sezione a parte, non visibile al pari delle altre, ma esaltante per Jodice, che, nel documentario di Martone, rivela di avere, in camera oscura, “un’amplificazione di altissima qualità”, e di essersi “goduto le serate più belle lavorando ed eccitandosi con la musica”.
Una dimensione senza tempo, quella di Mimmo Jodice, dove la realtà e la sua visione interiore coincidono e diventano poesia.
Viviana Rossi