“Incontri. 50 anni di fotografie e racconti”. Guido Harari in mostra a Milano

L’esposizione, che ospita oltre 300 ritratti di artisti italiani e internazionali e di protagonisti della cultura e della società del nostro tempo, sarà visitabile fino al 1° aprile 2024

“Fotografare è vivere più vite in una: è dilatare all’infinito i propri orizzonti, sospinti dall’ansia irrefrenabile di qualcosa che, pur non essendo ancora accaduto nella vita reale, è già accaduto nel cuore e nella mente”.

Con queste parole, il visitatore della mostra Incontri. 50 anni di fotografie e racconti viene accolto da Guido Harari nell’Ala Messina della Fabbrica del Vapore, a Milano, dove l’esposizione, che ospita oltre 300 ritratti di artisti italiani e internazionali e di protagonisti della cultura e della società del nostro tempo, è visitabile fino al 1° aprile 2024.

Accompagnati dalla voce narrante del fotografo, che svela e illustra il percorso della mostra grazie a un’audioguida gratuita, il viaggio personale di Harari nei suoi 50 anni di attività e di incontri diventa il proprio. E poco importa che la memoria di ciò che ha voluto fermare nell’istante dello scatto, a dispetto del “macinare del tempo”, coincida o meno, per età o passione comune, con quella dell’artista. “La fotografia”, afferma Harari, “è una sfida all’impermanenza della vita, per mostrarne tutta la potenza e la magia, oltre rituali e convenzioni”.

Una magia che si è accesa grazie alla sua passione per la musica negli anni Sessanta. “Anni di innocenza e di promesse, di ricerca di un nuovo sogno” annunciati dal sound del rock. Gli anni dei Beatles e Rolling Stones, di Jimi Hendrix e dei Doors, quelli in cui i fotografi dell’epoca, catturando le emozioni suscitate dalla musica, facevano apparire realistico il sogno di un fotografo in erba “di raccontare e condividere una passione sentendosi parte di una tribù in cammino”.

Gli anni Settanta sono, per il ventenne Harari, gli anni di chi ha fatto dell’arroganza incosciente il proprio biglietto da visita per proporsi a produttori ed artisti, cercando un modo di vivere nel quale coniugare musica e fotografia. Ecco, allora, le tournée in Italia e in Europa al seguito di artisti come De André, Pino Daniele, Lou Reed, Frank Zappa e Santana, con cui collabora e instaura una comunicazione “quasi telepatica”, affascinato da “quella sospensione in cui il personaggio è ancora una persona, con la guardia abbassata”. I pochi scatti significativi in cui, nei concerti, cerca di cogliere il carattere dei soggetti, sono l’anticamera del ritratto. Che diventa un racconto più intimo e privilegiato con foto realizzate in pochi minuti e in situazioni inattese negli alberghi e nei backstage (una per tutte, quella di De André che dorme accanto a un termosifone durante la tournée del 1979 con la PFM). Qui, tecnica e stile cedono senza rimpianti il passo al realismo dell’improvvisazione, facendo coniare per lui la definizione di “fotografo-cartina di tornasole, che preferisce lasciare campo aperto all’immaginazione e all’imprevisto”.

Il “ritratto come incontro” diventa una cifra stilistica di Guido Harari, un’occasione per “uscire allo scoperto e sollecitare l’altro a fare altrettanto, mettendosi in gioco per rivelare qualcosa di sé di cui magari non è ancora consapevole”. La sezione del progetto “Italians”, che da trent’anni si evolve senza sosta, celebra le eccellenze che, tra la fine del Novecento e il Duemila, hanno reso grande il nostro Paese nel mondo in tutti i campi (da Agnelli a Morricone, da Gassmann a Bertolucci, da Sepulveda a Madre Teresa, e molti altri).

E non mancano i suoi colleghi fotografi (Scianna, Berengo Gardin, Salgado, Newton, Battaglia per citarne solo alcuni), di cui ha voluto catturare “soprattutto i volti, ancor più gli sguardi” che emergono dal buio dello sfondo “come fasci di luce capaci di aiutarci ad attraversare il buio che ci inghiotte”.

L’anno Duemila porta con sé la necessità di “ritrovare la parola scritta e vivere ad un’altra velocità”, realizzando libri biografici con alcuni artisti, o con i loro eredi, o con personaggi mai incontrati (come Pasolini), “inventando una specie di fotografia senza macchina fotografica”.

La consapevolezza dell’avanzare dell’età e del rischio di veder affievolirsi la capacità di inventare cedendo ai rituali della fotografia commerciale, si traduce in scatti “d’azzardo” dove, “fra trame, rocce e alberi antropomorfi ricomporre il ritratto, o qualcosa che gli assomiglia”. Alla continua ricerca di “quello stupore infantile che non si smette mai di cercare”.

Oltre a foto, filmati d’epoca, videointerviste, il documentario che Sky Arte ha dedicato ad Harari e incontri con il fotografo, la mostra svela, nell’ultima sala, la “Caverna magica”, un set fotografico dove chiunque può farsi ritrarre da Guido Harari su prenotazione online. Oltre alla stampa originale, firmata e consegnata dall’autore a chi viene ritratto, una seconda stampa viene esposta nella sezione “Occhi di Milano”, destinata ad arricchirsi anche dei cosiddetti “ritratti sospesi” ai milanesi meno fortunati, ospiti di alcune strutture assistenziali del capoluogo meneghino.

Viviana Rossi

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