La guerra dei pentiti fa slittare ulteriormente la sentenza sul delitto di Raffaele Carolei di Castellammare di Stabia. Si è svolta nei giorni scorsi, presso la Corte d’Appello di Napoli, un’altra udienza del processo che vede alla sbarra Gaetano Vitale e Giovanni Savarese, entrambi ritenuti vicini al clan D’Alessandro e già condannati in primo grado all’ergastolo per uno dei delitti di camorra più efferati della guerra tra i D’Alessandro e gli scissionisti degli Omobono – Scarpa.
Castellammare, la “guerra” dei pentiti fa slittare la sentenza sull’omicidio di Raffaele Carolei
I legali difensivi dei due imputati hanno chiesto ai magistrati di ascoltare in aula il collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, il quale smentirebbe il pentito Pasquale Rapicano (alias Lino o’minorenne e tra i principali accusatori di Vitale e Savarese) su un altro omicidio, quello di Salvatore Polito, avvenuto nel 2012. Il 50enne, ritenuto dagli inquirenti vicino al clan Cesarano, fu ucciso nel rione Moscarella (dove risiedeva) con cinque colpi di pistola alla schiena ed uno alla nuca, indirizzatogli quando giaceva a terra inerme. Il classico marchio dell’agguato di stampo camorristico.
E così continua a slittare la sentenza d’Appello nei confronti di Vitale e Savarese. Una nuova udienza è stata già fissata per il prossimo 19 gennaio, quando i magistrati saranno chiamati a decidere se accogliere la richiesta la richiesta degli avvocati difensori. Il collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, figlio dell’ex primula rossa Pasquale, ha già messo a nudo gli affari dei clan sull’asse Castellammare di Stabia – Scafati, svelando rapporti e inediti retroscena. Secondo l’Antimafia, Carolei è una vittima di “lupara bianca”, come hanno raccontato Pasquale e Catello Rapicano, i due fratelli all’epoca affiliati al clan D’Alessandro e oggi collaboratori di giustizia.
Nuova udienza fissata per il 19 gennaio
Agli inquirenti hanno raccontato anche la macabra scena di come sarebbe stato ucciso, preso di spalle mentre era seduto in una cucina di un appartamento di Scanzano. I due Rapicano si sono autoaccusati del delitto, incassando una condanna definitiva a tredici anni di carcere e chiamando in causa Gaetano Vitale e Giovanni Savarese, due pregiudicati del centro antico, legati agli ambienti del traffico di droga. Vitale e Savarese sono stati condannati in primo grado all’ergastolo. Un omicidio che fu consumato in pieno giorno, all’interno di un appartamento che proprio Catello Rapicano aveva occupato abusivamente.