“C’è ancora domani” supera “La vita è bella”

Dietro l’esordio di successo alla regia c’è un messaggio di empowerment femminile lasciato alla custodia di milioni di donne, più o meno rappresentate sulla scena nazionale

“C’è ancora domani” supera “La vita è bella”: perché il film della Cortellesi è un invito a conoscere il “dietro le quinte” della condizione femminile del passato

È ormai sotto gli occhi di tutti l’opera della Cortellesi, “C’è ancora domani”, che ha trasceso la semplice narrazione, diventando un viaggio nell’evoluzione femminile, riscoperto attraverso gli occhi delle donne di oggi. Il film, quinto italiano con più incassi di sempre, si distingue certo per il suo profondo impatto emotivo e culturale, ma perché ancora oggi fa parlare di sé?

“C’è ancora domani” supera “La vita è bella”

Il pubblico italiano, per la maggiore composto da donne di ogni generazione, continua a riempire le sale cinematografiche contribuendo alla sua decima settimana di programmazione. Additato prima del lancio come un film d’epoca, in bianco e nero, che parlasse di un tema non semplice da digerire, il film “C’è ancora domani” ha superato ogni aspettativa, facendoci rivivere l’emozione delle file di persone in attesa davanti ai cinema e dell’applauso della platea, commossa ai titoli di coda.

Il suo successo è lo specchio collettivo che testimonia una sete di storie autentiche, spesso nascoste e poco rappresentate, della volontà delle persone di sentirsi partecipi di una storia conosciuta soltanto attraverso i racconti delle proprie nonne e bisnonne, ma di cui si vuol sapere di più. Paola Cortellesi, con la sua consolidata carriera come attrice, comica e sceneggiatrice, offre una narrazione che riprende la quotidianità e le sfide della donna nell’Italia del dopoguerra, in un contesto di diritti limitati e identità femminile circoscritta al ruolo domestico. Lo fa, lasciando trasparire la “semplicità” con cui questi eventi accadevano, la “normalità” con la quale era considerata la donna, definita dalla regista: “senza alcun diritto nella famiglia, quindi madre e moglie definibile solo così per le funzioni che avesse e non per la persona che fosse”.

Perché il film della Cortellesi è un invito a conoscere il “dietro le quinte” della condizione femminile del passato

“Ho pensato – afferma in un’intervista la stessa Cortellesi – che bisognasse raccontare alle ragazze che tutte le donne che hanno costruito questo Paese sono donne che non sanno di essere state lo scheletro e i muscoli di questo Paese”. Ha voluto raccontare non le figure note che giustamente celebriamo, ma quelle che c’erano eccome e che hanno avuto il coraggio di combattere, dall’interno, quello che è stato poi il percorso che ha fatto Una fra tante: Delia, la protagonista del film.

Ciò che rende questo film acclamato da donne e uomini, giovani e adulti, è il modo con cui la Cortellesi ha scelto di arrivare al suo pubblico. Ha portato in scena una Donna che rappresenta una puntuale condizione femminile, vestita dai costumi precisi ai riferimenti dell’epoca. La fa vivere “in una casa semplice, in un posto che ognuno di noi può avere negli occhi, una casa di nonni, con quell’arredamento antico nel caso di famiglie di ceto popolare”.

Un vero e proprio manifesto di una condizione femminile del passato

Dialoga con spontaneità, sorride delle gioie semplici, ama i suoi figli, si racconta a Marisa (Emanuela Fanelli) che tanto le vuole bene. Anche la violenza fisica riversata da suo marito Ivano (Valerio Mastandrea) è raccontata dalla Cortellesi in modo differente: è una danza. Un muoversi concitato, con segni di sofferenza “che tanto poi passano”, in cui “sappiamo – come racconta – che quello che sta accadendo, sta accadendo, con la stessa violenza, probabilmente in un altro modo e forse, per noi che tanto sappiamo di cosa si tratta, è meglio vederlo così”.

Questo film è definitivamente un vero e proprio manifesto di una condizione femminile del passato affrontata anche con intelligente ironia, che ha suscitato nel pubblico un sorriso compassionevole ma anche di grande riconoscenza per tutte quelle donne che hanno avuto la forza di sostenere, fra le mura domestiche, il peso del patriarcato e di combatterlo soprattutto recandosi alle urne in quel famoso 1946. Una scena resa memorabile anche dall’alto numero di comparse che hanno reso la grandezza del momento scenico, per rappresentare ciò che naturalmente significa: un cambiamento avvenuto nel silenzio di tante che, anche se a bocca chiusa, come recitato dalla canzone di Daniele Silvestri (colonna sonora del film, ndr), hanno saputo rispondere dopo di lei.

Una sfida che richiede fiducia in sé stesse e un sostegno più aperto da parte degli uomini

Da Delia, una madre come tante, a Marcella, una figlia come tutte, la scena ultima diviene inno all’essere protagoniste della propria vita, decidendo come persone e donne che aspirano a contare e a voler conciliare ruoli come quello di madre, moglie e lavoratrice, o l’impegno in politica. Una sfida che richiede fiducia in sé stesse e un sostegno più aperto da parte degli uomini, richiamati, anche durante la visione del film, a superare stereotipi e pregiudizi che limitano ancora oggi il ruolo delle donne nella società. È una lotta comune, che persiste dal 1946 a oggi, ricordando, a tutte loro, che ‘C’è ancora domani’ per cambiare le cose.

Un debutto alla regia che scrive una pagina importante della storia del cinema, soprattutto femminile, e che convince fermamente che per Paola Cortellesi regista, come lei stessa afferma, ci sarà un domani, un dopodomani, e tanti altri giorni ancora.

Sofia Comentale

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