Diecimila intercettazioni e centinaia di filmati, raccolti dalle forze dell’ordine in quattro anni, per assestare un duro colpo al clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. È l’obiettivo degli investigatori, nell’ambito del processo Cerbero che vede alla sbarra 29 tra capi e gregari della cosca del rione Scanzano, egemone sul territorio stabiese. L’enorme mole di lavoro delle forze dell’ordine ha prodotto ben 10mila intercettazioni.
Castellammare, 10mila intercettazioni e centinaia di filmati contro il clan D’Alessandro
Un ricco faldone, che verrà portato in aula di Tribunale alle prossime udienze, per ripercorrere strategie criminali, ordini dati dai vertici dell’organizzazione malavitosa e minacce alle vittime taglieggiate. Il lungo lavoro dell’Antimafia ha consentito di ricostruire decine di episodi di estorsione, messi a segno ai danni di commercianti, grandi e piccoli imprenditori di Castellammare di Stabia.
Ancora, dalle intercettazioni emergerebbe l’ingerenza del clan D’Alessandro negli appalti pubblici e in settori come quello della sanità, dei trasporti, il mercato ittico, la pubblicità, gli eventi e i parcheggi. Tra gli imputati del processo che hanno scelto il rito ordinario ci sono (tra gli altri) Michele D’Alessandro (figlio di Luigi e nipote dell’ex e defunto fondatore della cosca Michele), Teresa Martone (moglie dell’ex e defunto boss Michele, di recente scarcerata con l’esilio per 4 anni fuori dalla regione Campania), Antonio Rossetti ‘o guappone (tra gli esponenti di spicco della cosca di Scanzano) e altri colonnelli della cosca scanzanese. Le accuse spaziano dall’estorsione allo spaccio di stupefacenti, fino ovviamente all’associazione per delinquere di stampo camorristico.
Alla sbarra 29 tra capi e affiliati della cosca del rione Scanzano
Nel nuovo filone d’inchiesta, c’è spazio anche ai presunti rapporti tra la camorra e il mondo della politica stabiese. A tal proposito, nel capo d’imputazione si parla chiaramente “dell’ingerenza del sodalizio criminale nel settore degli appalti pubblici, con i D’Alessandro che interloquivano con gli esponenti politici di riferimento”. Ma dalla nuova inchiesta emergono nuovi particolari anche in merito all’attività estorsiva.
Secondo l’Antimafia, a Castellammare quasi tutti gli imprenditori e commercianti pagano il pizzo. Da 150 a 5mila euro. Nessuno osava ribellarsi alla legge del racket imposta dall’organizzazione malavitosa di Scanzano. Soprattutto i gestori di bar e locali in centro, nella zona della movida tra piazza Umberto I e il lungomare, costretti a pagare il pizzo agli uomini di Scanzano.