Il Gazzettino vesuviano | IGV

Mamorabilia pompeiana, antichità da Pompei nelle collezioni europee

Se si escludono quei reperti “pompeiani”, ancorché per pompeiani si intendano tutti quei pezzi, siano essi dipinti o marmi oppure mosaici e bronzi, per non dire di ori e argenti ritrovati in quasi tre secoli di scavi nell’area vesuviana, e oggi legittimamente in possesso di privati e musei che li acquistarono quando non esistevano ancora leggi che ne vietassero l’espatrio perché beni di altissimo valore storico e identitari, tutto il resto di quello che sta all’estero (e anche in Italia), invisibile e inaccessibile ai più perché nei caveau delle collezioni private, è frutto di saccheggi sistematici che verosimilmente si sono verificati sulla piana Vesuviana, certamente dallo stesso periodo della scoperta delle città sepolte dal Vesuvio.

Quei reperti, diciamo “puliti”, delle collezioni pubbliche e private, conosciuti perché entrati in cataloghi pubblicati e esposti alle visite, sono l’elemento principe di una pubblicazione con la quale L’Erma di Bretscheneider mette a punto un interessantissimo puzzle che  titola: “Memorabilia Pompeiana – Antichità da Pompei nelle collezioni europee (1748 – 1830)”.

Il volume è frutto di un lavoro di ricerca certosino fatto dall’archeologo Silvio La Paglia che ha indagato sulla sorte dei reperti finiti in collezioni europee pubbliche e private, durante il periodo che va dal 1748 al 1830, cioè dall’esordio delle investigazioni borboniche nell’antica città campana sino alla morte di re Francesco I, coprendo in parallelo l’evoluzione del sistema legale che tutelava il patrimonio storico-artistico del regno partenopeo.

E, per capire quanto il fenomeno degli acquisti e delle depredazioni da parte di nobili e ricconi dell’epoca che bramavano possedere un “pezzo di storia antica” in casa, basta solo ricordare i due candelabri di bronzo di probabile provenienza pompeiana che sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla Corte di Napoli, alla metà del 1700, ha acquistato di nascosto. Il nobiluomo inglese viene scoperto da Goethe che gli fa visita e vede i candelabri in bella mostra, riportando la notizia al pittore Hackert che però lo invita a tacere e a non indagare oltre sulla loro provenienza. Oltre all’acquisto, sempre da parte di Hamilton, del museo casalingo del conte di Pianura, don Francesco Grassi, e una gran bella collezione di vasi antichi, non pompeiani, che poi il nobiluomo donerà al British Museum.

Un altro importante obiettivo dell’opera è comprendere come i collezionisti entravano in possesso di un tal genere di antichità: per ogni manufatto pompeiano esaminato è stato ricostruito l’intero itinerario collezionistico, una vera e propria sfida investigativa condotta attraverso la meticolosa ricerca archivistica, nell’Archivio di Stato di Napoli e nell’Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, essenziale per sviluppare l’intero studio.

Pasquale Sannino

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