L’approvazione al Senato della legge per l’autonomia differenziata di fatto sancisce le disuguaglianze in Italia con il Sud destinato ad avere ancora meno diritti e servizi dopo oltre 160 anni di questione meridionale. Si tratta, di fatto, della fine dell’Italia nel silenzio generale e per il fatto stesso che così tanti politici e cittadini sono convinti del fatto che è giusto che esistano altri cittadini con meno diritti.
Voluta dalla Lega che, per consensi e obiettivi, resta “Lega Nord”, la legge ha raccolto in sostanza le adesioni trasversali di diversi esponenti politici settentrionali anche di sinistra e di altri partiti.
I governatori meridionali, finora, si sono distinti o per l’adesione imposta, forse, dal loro partito o per un’opposizione poco concreta.
Mentre per anni spesso i neoborbonici sono stati accusati (senza alcun fondamento) di voler “dividere l’Italia” e pur sapendo che dal 1860 l’Italia è divisa già per diritti e servizi, in tanti, allora, leghisti o meno e per giunta con le bandiere venetiste sventolate al Senato, hanno realmente diviso l’Italia.
“Abbiamo voluto ricordare ai governatori -ha dichiarato il presidente del movimento, Gennaro De Crescenzo – un passato nel quale il Sud vantava primati positivi culturali, economici e sociali. L’Italia andava e andrebbe unita nei diritti, com’è non è mai avvenuto e come mai avverrà con questa riforma.
Con iniziative finalizzate ad esempio alla valorizzazione delle produzioni locali (magari con una campagna Comprasud), i politici meridionali del presente potrebbero e dovrebbero trovare proprio nel passato un nuovo senso di appartenenza e un nuovo orgoglio, elementi che caratterizzano spesso i politici padani e che dalle nostre parti sono, evidentemente, sempre più urgenti e necessari”. Non si tratta, allora, di scendere in campo “contro” il Nord ma “per” un Sud sempre meno rappresentato e difeso.