Il mese di febbraio è collegato alla figura femminile per la sua durata vicinissima al ciclo lunare. Per il passato diversi miti hanno omaggiato la figura della donna, nelle sue diverse sfaccettature, noi vedremo Ecate, Artemide e Selene. Ecate è la divinità della prima generazione. Rappresenta un’epoca atavica in cui vi era un originario Matriarcato.
Il mese di febbraio, mese della Luna e dei miti che riguardano le donne
In origine quindi benigna poi negativa al punto che lo stesso Zeus la teme. Diviene dea delle maghe ed esprime il mistero, il segreto e le tenebre. Talvolta associata alla morte ed agli inferi. È tradizionalmente raffigurata con tre corpi, leonessa, cagna e giumenta. La sua festività è ai primi di Febbraio come l’Imbloc celtico che rappresenta il grembo ovino, a significare lo stato originario e primordiale della umanità.
Abbiamo poi Artemide, emblema della femmina libera, padrona delle imbattibili guerriere Amazzoni e delle stupende ninfe del suo seguito che solevano bagnarsi nude alle più preziose fonti in una ottica purificatoria e catartica-ricordiamo che febbraio deriva da februare, che significa proprio “purificare” ed anche nel senso di sacrificare.
Ecate, Artemide, Selene
Ella rappresenta la luna nella sua fase attiva e rappresenta la caccia, pratica che metteva in atto spesso. Il mito ce lo racconta, il giovane Atteone nipote di Semele, madre di Dioniso era un celebre cacciatore. Era stato addestrato nella caccia e nell’uso delle armi dal centauro Chirone, che fu maestro anche di Achille.
Un giorno, mentre era a caccia con altri compagni nella valle di Gargafia, in Beozia, Atteone sorprese la dea Artemide che si bagnava nella fonte Partenia, in compagnia delle ninfe, e si fermò a guardarla. Artemide si offese perché un mortale aveva osato osservarla nuda. Per punizione Artemide lo trasformò in cervo o gli gettò addosso una pelle di questo animale e Atteone, datosi alla fuga sulle pendici del monte Citerone, fu assalito e divorato dai cinquanta cani della sua muta, che non lo riconobbero così trasformato.
Ad emblema della donna della terra e per la terra
I cani da caccia di Atteone continuarono a cercare il padrone per lungo tempo, vagando e ululando nella selva, finché arrivarono alla dimora del centauro Chirone, che costruì per loro un simulacro del defunto padrone, con il quale riuscì infine a placare il loro dolore. Notiamo che quivi Artemide non si impietosisce e lo trasforma in Costellazione come spesso accade nei miti ma lo inchioda alla nuda terra, resta nel sepolcro. Ad emblema della donna della terra e per la terra. E come argilla plasmata Chirone ridà sembianza vuota al cacciatore
La festa che si celebrava in onore di Artemide ἐλαϕηβόλος (“cacciatrice di cervi”) nel mese detto appunto Elafebolione (probabilmente fine Febbraio). È probabile che la festa si celebrasse anche in Atene, sebbene sia sicuramente testimoniata solo per Iampoli nella Focide non è chiaro se essa debba tenersi distinta o no dalle Lafrie, feste in onore di Artemide Lafria, di cui si ha testimonianza per la stessa città di Iampoli. Alla dea era offerta una focaccia in forma di cervo
Alla dea era offerta una focaccia in forma di cervo
Nonostante l’originaria importanza della festività, data l’associazione diretta con Elaphebolion, corrispondente al periodo compreso tra marzo e aprile del calendario giuliano (giorni che coincidono con la pubblicazione del numero 200 di Engramma che ospita questo contributo), è probabile che le celebrazioni con il passare del tempo fossero state ridotte a un ruolo marginale e congiunte alle Dionisie.
Durante le Elaphebolia Artemide era invocata come cacciatrice di cervi: dall’epiclesi Ἐλαφηβόλος che racchiude il significato di ‘assassina’, inoltre, deriverebbe il ricordo di una vittoria da parte degli abitanti di Iampoli, nella Focide, contro i Tessali e che era celebrata nel santuario dedicato ad Artemide, i cui resti sono confermati dalle descrizioni di Pausania.
Il mito è un amore corrisposto ed impossibile
Questo evento, oltre a testimoniare il culto in quell’area, ben si coniuga con il binomio festa e guerra, heorté e pòlemos. Poi, infine, Selene ed Endimione. Quest’ultimo astronomo, amante delle stelle e soprattutto della luna Selene di cui si innamora follemente tanto da entrare in contatto con lei. Ricambiato, la dea va da Zeus e chiede al padre per l’amato l’eterna giovinezza e per lei di vederlo dormire incantato mentre si sopiva al mirar le stelle.
Le richieste sono accolte, ma Endimione, eternamente giovane, non si sveglierà mai e Selene resterà per sempre ad ammirarlo senza poter esser suo. Il mito è un amore corrisposto ed impossibile ma anche l’emblema dell’amore per la Natura, la luna, gli astri, aspetto messo in luce anche da Plinio il Vecchio.
Giovanni Di Rubba