Giallo limone, giallo oro, giallo ocra, giallo Napoli, giallo pastello, giallo miele… le tonalità di questo colore sono davvero infinite.
Il giallo ha attraversato la storia dell’arte assumendo diverse sfumature di significato e offrendo agli artisti tante possibilità espressive. Ancora oggi, benché risulti come fanalino di coda nei sondaggi sui colori preferiti, continua ad affascinarci e ad emozionarci, confermandosi un colore di grande forza e vitalità.
Tra i primi pigmenti ottenuti mescolando acqua e terra, gli uomini primitivi ricavarono l’ocra, ancora oggi lavorata sfruttando le venature di sabbia dai colori straordinari di alcune aree montuose e desertiche del pianeta.
Molti pigmenti usati nell’antichità fino al Rinascimento erano già conosciuti. In Egitto, il giallo era associato a Ra, il dio Sole, e gli Egizi si ispiravano alle sfumature che la luce solare sapeva creare rifrangendosi sulle dune di sabbia del deserto. Nella mitologia egizia, entrava in relazione con il nero, perché, al tramonto, il sole scendeva nel regno dei morti governato da Osiride.
Nel Medioevo si usava molto l’oro, che racchiudeva in sé tutti gli aspetti positivi del giallo. Al quale rimanevano quelli negativi, che evocavano la malattia, la follia, la menzogna e il tradimento. Nella visione del mondo medievale, l’oro rappresentava la luce divina e risaltava come sfondo nelle miniature, nei dipinti su tavola e nelle tessere dei mosaici.
I Bizantini, in Sicilia, seppero creare sinfonie di luce di straordinaria bellezza. La trascendenza, simboleggiata dalla luce delle tessere d’oro, faceva da sfondo alla figura del Cristo pantocratore nei mosaici arabo-normanni ancora visibili a Palermo come a Monreale.
La scelta del mosaico non aveva soltanto una valenza estetica, ma si fondava su un principio teologico-filosofico, favorendo l’avvicinamento al divino. Per questo, le tessere auree venivano collocate sulle superfici murarie con una inclinazione verso il basso, così che chi entrava in un luogo di culto fosse inondato di luce divina.
Nella pittura medievale, lo spazio dietro le figure era collocato in una dimensione ultraterrena. I fondi oro venivano stesi prima delle figure, e l’oro poteva diventare un complemento applicato sopra la pittura. Nel Quattrocento, lo spazio scenico retrostante le figure veniva recuperato con l’apertura della prospettiva verso il cielo, perché l’uomo era tornato al centro dell’universo.
Fin dall’antichità, la tintura dei tessuti sfruttava i coloranti naturali che le piante producono per proteggersi dai raggi solari. Per questo, molte specie tipiche dell’area mediterranea contengono coloranti gialli impiegati a questo scopo. La reseda dei tintori, ad esempio, molto coltivata in Provenza, è caratterizzata dalla luminosità del suo giallo.
I coloranti di origine vegetale non sono di per sé adatti alla pittura. La reseda era molto usata dai pittori olandesi; nei paesaggi o nelle nature morte, le foglie erano dipinte di blu e, sopra al blu, veniva applicata una velatura gialla di lacca di reseda, che generava un verde molto profondo. La reseda è molto sensibile alla luce e sbiadisce facilmente, quindi, le foglie come appaiono oggi in molti dipinti visibili nei musei sembrano blu, ma in origine erano molto diverse.
I processi chimici nati con la Rivoluzione industriale tra ‘800 e ‘900 misero a punto nuovi metodi di sintesi, aprendo la strada a gamme di colori di ogni genere.
Van Gogh, come altri pittori del suo tempo, era cosciente dei pericoli che derivavano dall’uso dei nuovi colori, così saturi, intensi e brillanti, ma li usava ugualmente. In origine, i gialli di cromo dei suoi dipinti erano molto più chiari e luminosi, e quanto più solfato contenevano, tanto più erano destinati a scurirsi nel tempo. Per questo, non voleva rinunciare a usarli molto puri prevedendo l’effetto addolcente che il tempo avrebbe avuto su di loro.
Che ancora oggi cattura il nostro sguardo.
Viviana Rossi