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Castellammare, inchiesta sulle scommesse online: i siti pirata

Castellammare, inchiesta sulle scommesse online: i siti pirata

L’inchiesta che ha sgominato una cellula dei D’Alessandro dedita alle scommesse sportive è partita dalle rivelazioni del pentito Pasquale Rapicano di Castellammare di Stabia. È stato l’ex killer della cosca scanzanese a indirizzare i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli su Roberto Di Somma (tra i 7 finiti in carcere).

Castellammare, inchiesta sulle scommesse online

Secondo il collaboratore di giustizia infatti, quest’ultimo avrebbe proseguito l’attività del cognato Antonio Oscurato (morto nel 2012, considerato dall’Antimafia un imprenditore nel settore dei giochi e delle scommesse, ritenuto vicino ai D’Alessandro).

E proprio per continuare ad avere la “protezione” del clan, Di Somma avrebbe assunto Rodolfo D’Apuzzo (a sua volta finito in manette nell’operazione di mercoledì condotta dalla guardia di finanza), che aveva contatti diretti con i vertici dei D’Alessandro. Secondo quanto emerso dalle indagini, i responsabili raccoglievano scommesse ma i proventi venivano indirizzati soltanto in minima parte nei circuiti legali. La quota più consistente infatti, era bancata su siti pirata.

I siti pirata e i broker “utilizzati” dal clan D’Alessandro

Le agenzie di scommesse si avvalevano della collaborazione di broker – sia italiani, sia stranieri – delegati alla raccolta delle puntate clandestine che il clan D’Alessandro riciclava nelle sue attività imprenditoriali fittiziamente intestate a prestanome. Ma nell’operazione di mercoledì è stato smascherato anche un sistema di estorsioni ai danni di commercianti stabiesi, attraverso il metodo della vendita dei gadget natalizi.

Per quest’accusa è finito in manette Michele D’Alessandro junior, figlio di Luigi e nipote del fondatore della cosca e defunto ras Michele D’Alessandro. Secondo quanto emerso dalle indagini, era Antonio Lucchese a girare (durante il periodo natalizio) per i negozi a chiedere l’acquisto dei gadget. Un affare che per il clan D’Alessandro valeva diverse migliaia di euro.

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