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Truffe online dal carcere di Napoli Poggioreale, sgominata la banda

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Truffe online dal carcere di Napoli Poggioreale, sgominata la banda

Sono riusciti a truffare ben 50 persone, ottenendo beni, in particolare orologi di valore, per un totale di oltre 600mila euro. Ci sono riusciti con pochi strumenti e una perfetta coordinazione: smartphone, pc, schede telefoniche, qualche finta pagina web, un finto servizio di assistenza, una manciata di assegni falsi. Non è tutto. Il loro “capo” era in carcere, a Napoli Poggioreale, e dalla sua cella, con i cellulari in suo possesso, è riuscito a “dirigere” tutte le attività fingendosi anche un impiegato di banca. Fino a questa mattina quando la Polizia di Stato è riuscita a sgominare la banda di truffatori. Nel sodalizio uomini e donne legati anche da vincoli di parentela.

Truffe online in tutta Italia dal carcere di Napoli Poggioreale, sgominata la banda

Sei persone sono state arrestate, per un’altra è scattato l’obbligo di dimora; un soggetto è attualmente irreperibile. Tutti sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al compimento di truffe. L’operazione è stata effettuata dalla Polizia di Stato di Perugia (che ha raccolto lo scorso anno la denuncia di un cittadino), coadiuvati dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma, dai Centri Operativi per la Sicurezza Cibernetica di Perugia e della Campania, dal Reparto Prevenzione Crimine Campania e dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria di Roma e Napoli.

Le indagini sono partite proprio da Perugia. Un uomo aveva messo in vendita il proprio orologio di valore su un noto sito internet e-commerce. Era poi stato contattato da un soggetto che aveva manifestato interesse all’acquisito. Raggiunto l’accordo, l’orologio era stato pagato con un assegno circolare di oltre 8mila euro, risultato poi falso. Gli agenti hanno quindi svelato un modus operandi comune e collaudato.

Il modus operandi della banda di truffatori

La banda, dopo prima fase di “ricognizione” delle piattaforme di e-commerce, individuavano sia l’oggetto di valore sia gli inserzionisti degli annunci di vendita. Subito dopo contattavano la vittima designata prima attraverso la messaggistica del sito e poi attraverso contatti WhatsApp. Acquisita telefonicamente la fiducia del venditore, gli indagati indicavano come luogo di incontro per lo scambio dell’orologio la filiale della banca della vittima, ove cioè sarebbe stato incassato l’assegno circolare.

A questo punto gli indagati predisponevano i titoli falsi recanti i dati della banca emittente, l’importo stabilito ed il nominativo della vittima. Poi attivavano utenze telefoniche VoIP (con prefissi geografici 02, 051, 0742 etc..) da inserire in Google in maniera da farle apparire come numerazione degli istituti bancari che avevano “emesso”, in apparenza, i falsi assegni. In caso di contatti da parte delle vittime, rispondevano sedicenti impiegati dell’istituto di credito con il compito di rassicurare l’interlocutore circa la bontà del titolo.

False pagine internet delle filiali bancarie

I truffatori creavano anche false pagine internet delle filiali bancarie che risultavano aver emesso il titolo nelle quali comparivano i numeri di telefonico VoIP sopra indicati. Infatti, chiamando tali numeri, rispondevano o il capo detenuto, in via prioritaria, oppure una donna i quali, fingendosi impiegati della banca, fornivano all’interlocutore garanzie verbali relative sia all’autenticità dell’assegno nonché alla relativa provvista. Definiti tutti gli accordi della trattativa veniva concordata la data e l’ora dell’incontro, incontro al quale gli indagati partecipavano con falsi documenti di identità.

L’assegno circolare veniva consegnato al personale bancario il quale, accertata l’esistenza sui siti internet della filiale emittente il titolo, individuata l’utenza e dopo aver ricevuto garanzie telefoniche, lo poneva all’incasso. Conclusa la compravendita ed entrati in possesso degli orologi, gli indagati facevano perdere le proprie tracce. Soltanto dopo alcuni giorni la vittima si accorgeva di essere stata truffata, quando la banca gli comunicava che l’assegno era falso in quanto emesso da una banca inesistente.

L’acquisizione di un ingente mole di dati da parte degli investigatori, durante un anno di investigazioni, ha consentito di interrompere l’attività criminosa che ha fruttato al sodalizio un profitto illecito, in un arco temporale di pochi mesi, di quasi 600mila euro. Stamattina sono scattate anche perquisizioni che hanno consentito di rinvenire due telefoni cellulare in uso al detenuto nonché, presso le abitazioni degli indagati, gioielli, computer e numerosi appunti manoscritti.

Francesco Ferrigno

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