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L’Italia fu tra le prime nazioni con un Corpo di Polizia Femminile

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L’Italia fu tra le prime nazioni con un Corpo di Polizia Femminile

L’Italia fu tra i primi Paesi a dotarsi di un Corpo di Polizia che comprendesse donne. E tutto ciò non solo per alcune esigenze pratiche ma perché con lungimiranza si colse, gradualmente, il servizio di rilievo e le doti uniche del gentil sesso nello svolgere, per allora, azioni di contrasto alla microcriminalità, alla prostituzione, alla dispersione scolastica.

L’Italia fu tra le prime nazioni a dotarsi di un Corpo di Polizia Femminile

Nel dicembre 1959, creato, su indicazione dell’allora capo della polizia Giovanni Carcaterra, con la legge 7 dicembre 1959, n. 1083 incorporò anche le già agenti del Corpo di polizia femminile di Trieste che era nato sotto l’amministrazione militare anglo-americana del Territorio Libero di Trieste fino al 1954.

Per esigenze avvertite a tutti i livelli istituzionali, venne, dunque, impiantato il Corpo della Polizia Femminile, con compiti di prevenire e contrastare fenomeni che oggi chiameremo di “bullismo” nonché, soprattutto, di contrastare e reprimere reati commessi da donne o da minori.

La Scuola di formazione per la polizia femminile

Aveva anche la funzione pratica di supportare la polizia per alcuni compiti che non era possibile affidare agli uomini, come ad esempio la perquisizione corporale delle donne. Dipendente dall’amministrazione della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, ma non inserito in un ordinamento militare delle Guardie di Pubblica Sicurezza allora vigente per la polizia,

L’addestramento avveniva presso la Scuola di formazione per la polizia femminile di Roma. Con l’approvazione nel 1958 della cosiddetta legge Merlin che regolava la materia della prostituzione, contribuì ad un incremento delle competenze e delle esigenze di organico, rendendo il Corpo femminile di ancor più immediata utilità.

Empatia, capacità di dialogo, diplomazia

Una funzione estremamente delicata e che necessitava di un sistema di approccio sia umano, sia di ricerca sia investigativo completamente diverso da quello riservato alla criminalità comune.

Interloquire con un ragazzino oberato e sfruttato dal lavoro nero e contro i limiti orari imposti dalla legge o con una donna costretta a prostituirsi richiedeva doti di empatia, capacità di dialogo, diplomazia, occorreva che una donna sfruttata sessualmente parlasse della propria vita sessuale ed intima, aspetti che richiedevano una umanità e comprensione che gli uomini non potevano detenere.

Assistenza delle famiglie di orfani e vedove dei poliziotti

Le donne del Corpo Femminile tra le altre mansioni organizzavano e gestivano l’assistenza delle famiglie di orfani e vedove dei poliziotti anche mediante le colonie estive successivamente estese a tutto il personale della Pubblica Sicurezza. La loro dedizione ed i risultati conseguiti fecero sì che le sezioni di polizia giudiziaria presso le Procure della Repubblica vollero dotarsi a loro volta di un nucleo di Polizia femminile che collaborò attivamente con i giudici istruttori in particolari settori fino ad allora trattati con più nonchalance.

A Napoli si distinsero per spirito umanitario e filantropico, non solo contrastando i reati ma soprattutto in una lodevole attività di prevenzione, controllo ed aiuto soprattutto dei due fenomeni di loro competenza: prostituzione ed evasione scolastica dei minori, spesso liberandoli e salvandoli dalle spire della malavita. Con la riforma sancita dalla legge n. 121 del 1 aprile 1981 e il personale integrato nella Polizia di Stato.

Giovanni Di Rubba

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