“Buon selvaggio”: a teorizzarlo fu Bartolomeo de Las Casas

Bartolomeo de Las Casas può essere considerato il padre della Filosofia del diritto, parte dalla concezione unitaria del genere umano affermando il suo punto di partenza filosofico

Non fu Rousseau ma Bartolomeo de Las Casas, protettore degli indios e missionario, a teorizzare il mito del buon selvaggio

Rousseau è visto ad emblema della teorizzazione del “buon selvaggio”. L’uomo nasce di natura cordiale, perciò non ha bisogno di essre governato. La cattiveria è figlia dell’Istituzione, senza leggi cresce solidarietà” canterà qualche anno dopo Max Gazzè. In realtà già prima con il Primitivismo del XVIII secolo, il “buon selvaggio” era considerato più lodevole, più autenticamente nobile dei prodotti dell’educazione civilizzata.

Non fu Rousseau ma Bartolomeo de Las Casas, protettore degli indios e missionario, a teorizzare il mito del buon selvaggio

Nonostante l’espressione “buon selvaggio” fosse già comparsa nel 1672 in La conquista di Granada di John Dryden (1672), la rappresentazione idealizzata di un “gentiluomo della natura” fu un aspetto caratteristico del Sentimentalismo del secolo successivo. Rousseau vedeva una divaricazione sostanziale tra la società e la natura umana. affermava che l’uomo fosse, in natura, buono, un “buon selvaggio”, e venisse corrotto in seguito dalla società; vedeva questa come un prodotto artificiale nocivo per il benessere degli individui.

Il negativo influsso della società su un uomo altrimenti virtuoso, nella filosofia di Rousseau, ruota intorno alla trasformazione dell’amore di sé (amour de soi), intenso in senso positivo, nell’amor proprio (amour-propre), visto come negativo. Ciò anche ricordandoci le civiltà ataviche ove vigevano regole libere e la vita era scandita da  riti e non violenza interna.

Il Discorso sulle scienze e le arti

L’amore di sé consiste nell’istintivo desiderio, posseduto dall’uomo come dagli altri animali, di autoconservazione; l’amore proprio, invece, generato dalla società, costringe l’individuo a paragonarsi agli altri esseri umani, creando competizione, portando all’infondata paura di non essere sufficientemente apprezzato, o a trarre piacere dalle debolezze e dal dolore altrui. Distinzione riportata anche da Luc de Clapiers, marchese di Vauvenargues.

Addirittura nel Discorso sulle scienze e le arti, Rousseau sostenne che le arti e le scienze non avessero apportato benefici all’umanità, in quanto non erano state prodotte per rispondere alle necessità umane, bensì generate dall’orgoglio e dalla vanità. Inoltre le arti e le scienze creavano occasioni per l’ozio e il lusso, contribuendo così alla corruzione dell’uomo.

Il progresso delle conoscenze

Rousseau affermava che il progresso delle conoscenze avevano reso i governi maggiormente potenti, schiacciando così le libertà individuali. Concludeva quindi che il progresso materiale minacciasse la possibilità di costruire amicizie sincere, al cui posto subentravano gelosie, paure e sospetti.

Certo esagerato e antistorico in questo passaggio, possiamo correggerlo affermando che l’ozio nacque con la scoperta dell’Agricoltura che però portò diversi benefici sia a livello alimentare che scientifico. Ogni modo è doveroso affermare che il mito del buon selvaggio è antecedente al Primitivismo ed al Sentimentalismo, al Romanticismo ed a Rousseau e fu teorizzato nel corso di tutto il ‘500 ed il ‘600.

Bartolomeo de Las Casas e Francisco de Vitoria

Si accese, infatti, il dibattito circa la natura giuridica degli indios, vera chiave di volta per la risoluzione di molte questioni che coinvolgevano i domini iberici in Nuovo Mondo. Le discussioni si animarono su un triplice fronte, da un lato da parte dei missionari che si trovavano in loco ed avevano modo di constatare in prima persona gli sfruttamenti, dall’altro da parte dei pensatori europei ed in primis dalla Scuola Teologica di Salamanca ed infine, seppur indirettamente, da parte della Inquisizione. Senza alcun dubbio i pensatori più autorevoli e che diedero un contributo maggiore alla disputa furono Bartolomeo de Las Casas e Francisco de Vitoria.

Las Casas era un domenicano, figlio di uno dei compagni di viaggio di Colombo. Ordinato sacerdote nel 1510, accompagnò Velasquez, nel 1513, nella conquista di Cuba. Rimasto fortemente turbato dal trattamento che veniva riservato agli indios, rinunciò all’encomienda l’anno successivo e, da allora in poi, iniziò la sua opera a difesa degli indigeni, inviando denuncie alla madrepatria e scrivendo diverse opere tra cui la “Historia general de las Indias” e soprattutto la “Brevissima relacion de la destruccion de las Indias“, uno scritto dedicato al futuro sovrano Filippo II ed inviato, come memoriale, a Carlo V. Tale scritto influenzerà successivamente la stesura delle Leyes Nuevas e l’emanazione della bolla papale Veritas Ipsa che vietava la schiavitù e affermava che gli indios sono veri uomini.

Soffermandoci sulla sua figura, vera egida degli indios, Bartolomeo de Las Casas può essere considerato il padre della Filosofia del diritto, parte dalla concezione unitaria del genere umano affermando il suo punto di partenza filosofico, per cui qualsiasi essere dotato di ragione, indipendentemente dall’aspetto fisico o dalla condizione sociale, doveva essere considerato essere umano.

Società più vecchie ed evolute

Tale prospettiva si estende alle società. In buona sostanza non esistevano società superiori e società inferiori a priori ma soltanto società più vecchie ed evolute, che potevano fungere da modello per le più arretrate attraverso l’educazione, come tra Europa ed America.  Infine, per quanto concerne il principio di schiavitù, Las Casas riprende la definizione aristotelica di “servo per natura”, affermando che tale definizione non esiste ma potevano esservi solo “servi per accidente”, ossia tali a causa delle condizioni casuali e, per questo, tutti gli uomini godono in principio di tutti i diritti naturali fondamentali.

Las Casas, infatti, divide i barbari in tre gruppi: chi avesse immunità di comportamento (i conquistadores), i barbari secundum quid, cioè coloro che per causa fortuita non comunicavano bene per arretratezza del linguaggio o mancanza di scrittura, come gli indios. Tale categoria per Las Casas, poteva avere autonomia di governo e, grazie all’opera dei missionari, abbracciare la religione di Cristo. Infine vi erano i barbari sic et simpliciter, barbari per natura, senza il lume della ragione e dai comportamenti perversi, come gli infedeli.

Non esistono popoli superiori e popoli inferiori

La religione è il punto centrale del suo pensiero e il suo referente sono le Sacre Scritture. Pur consapevole della primarietà del cattolicesimo, difende usi, costumi e credenze indios e sostiene che solo l’educazione e non la forza possono convertire gli indigeni, anche se la religione cattolica è l’unica vera. Michela Porcaro prende in considerazione tre opere di Las Casas per delinearne la filosofia: L’Apologetica Historia Sumaria, il De Unico Vocationis Modo, il De Regia Podestate

Nell’Apologetca Historia Sumaria Las Casas teorizza che tutti gli uomini, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche, dalle condizioni sociali e dal livello culturale sono eguali in quanto dotati di ragione e i loro diritti sono naturali, inalienabili ed inviolabili. Essenziale è l’evoluzione. Non esistono popoli superiori e popoli inferiori, alcuni sono arretrati ma possono raggiungere ugualmente alti livelli di cultura tramite l’educazione. Non esistono, infine, servi di natura. Tutti gli uomini nascono liberi e con diritti naturali.

La visione contrattualistica

Nel De Unico Vocationis Modo, invece, afferma che la religione è la base su cui si fonda il suo pensiero. Il riferimento portante è quello delle Sacre Scritture. Ciononostante neanche l’universalismo cattolico può portare ad un, comunque erroneo, assolutismo etico. Egli, pur essendo sostenitore della sola Verità del Vangelo, teorizza il principio di libertà religiosa, sostenendo che il Cristianesimo non può imporsi con la forza ma solo con la persuasione dell’intelletto e la forza attrattiva della volontà gettando addirittura le basi del principio di rispetto delle altre religioni e culture.

Il De Regia Potestate è invece lo scritto più politico e Las Casas vi racchiude alcuni principi cardine: la visione contrattualistica: l’uomo è un soggetto comunicativo e l’insicurezza, il bisogno e la precarietà lo inducono a riconoscere l’altro e a stringere patti con questi, il diritto naturale: anticipando il Giusnaturalismo Las Casas sostiene: il patto sociale come costitutivo della società, il governo delle leggi e non delle persone, le libertà naturali, l’uguaglianza tra popoli. I cittadini non perdono, affidandosi ad un sovrano, la loro libertà, anzi quanto più le regole vengono rispettate tanto più la comunità è giusta ed il sovrano non può, senza consenso, limitare la libertà dei cittadini. Con ciò mostrandosi chiaramente contro l’encomienda.

Il concetto giuridico di eguaglianza con gli europei

Las Casas, quindi, fu uno strenuo difensore degli Indios e soprattutto del concetto giuridico di eguaglianza con gli europei. In linea di massima, per il domenicano, la religione cattolica può essere praticata da ogni popolo in quanto la stessa è destinata a diffondersi in tutto il mondo. Per questo ogni selvaggio ha già in sé qualcosa di cristiano che deve essere valorizzato consentendo, tramite l’educazione, di porlo in evidenza e perfezionarlo.

Dalle riflessioni di Las Casas nascerà il mito del “buon selvaggio”, tanto caro agli illuministi, soprattutto a Rousseau, secondo cui gli aborigeni sono docili, sottomessi e servili ed hanno una propensione innata ad essere “guidati” verso la conoscenza della verità cristiana avendola nel proprio bagaglio di conoscenze.

Giovanni Di Rubba

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