Le donne hanno un ruolo importante nel clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. Spesso in sordina, non compaiono direttamente, ma “le donne d’onore” gestiscono e pianificano gli affari e i colpi del clan. O almeno, lo hanno fatto con maggiore veemenza quando tutti i loro congiunti si trovavano in carcere.
Castellammare, processo “Cerbero”: il ruolo chiave delle “donne d’onore” del clan D’Alessandro
È quanto emerso dall’ultima udienza del processo “Cerbero”, che vede alla sbarra 29 tra capi e affiliati alla cosca del rione Scanzano. Tra questi, figurano Teresa Martone (moglie dell’ex e defunto capoclan Michele D’Alessandro), Annunziata Napodano (madre di Michele D’Alessandro junior, a sua volta imputato) e Rosaria Iovine (nuora di Teresa Martone). Sono stati i collaboratori di giustizia a testimoniare il ruolo di primo piano rivestito dalle quote rosa dell’organizzazione criminale stabiese.
“Quando noi del clan D’Alessandro tornavamo a Scanzano dopo aver fatto le estorsioni oppure altri servizi – si legge nei verbali resi dal pentito Michele Spera – portando i soldi o la risposta dei destinatari delle nostre richieste, Salvatore Belviso, dopo averci parlato, diceva sempre: vado un attimo da zia Teresa”. Chiaro il riferimento alla vedova del padrino stabiese. E così, mentre tutti i vertici del clan si trovavano in carcere, all’esterno sarebbero state proprio le donne della famiglia a portare avanti gli affari.
Avrebbero gestito la cassa, pagando gli stipendi agli affiliati e ai familiari dei carcerati
Le due donne, secondo i magistrati dell’Antimafia, in assenza dei parenti in carcere, avrebbero (con grande determinazione) trasmesso messaggi, impartito ordini alla cosca e imposto il pizzo. Le stesse avrebbero gestito la cassa, pagando gli stipendi agli affiliati e ai familiari dei carcerati, organizzando anche summit di camorra per studiare le strategie dell’organizzazione criminale più forte dell’area stabiese.
Ma dalla nuova inchiesta emergono nuovi particolari anche in merito all’attività estorsiva. Secondo l’Antimafia, a Castellammare quasi tutti gli imprenditori e commercianti pagano il pizzo. Da 150 a 5mila euro. Nessuno osava ribellarsi alla legge del racket imposta dall’organizzazione malavitosa di Scanzano. Soprattutto i gestori di bar e locali in centro, nella zona della movida tra piazza Umberto I e il lungomare, costretti a pagare il pizzo agli uomini di Scanzano.