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L’arte di nascondere

L’idea di dover mimetizzare dettagli legati alla sessualità ha avuto origine soprattutto dal libro della Genesi, che racconta l’espulsione di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Nei dipinti, la coppia primordiale esibiva la foglia di fico o di vite. Se non fosse stata nascosta, la nudità avrebbe messo in risalto la loro sessualità, alimentando i divieti del Cristianesimo e facendola percepire come legata al desiderio sessuale e a tutte le fantasie che circolavano in passato.

Il nudo è stato inventato nell’antica Grecia, ma anche all’epoca gli organi sessuali non potevano essere visti. Venivano solo evocati, modificati o addirittura eliminati. Il sesso femminile era inesistente, mentre quello del corpo maschile, emblema di virilità, doveva apparire ridimensionato, a riprova della capacità dell’uomo di dominare le sue pulsioni.

All’inizio, le figure vengono ritratte tenendo in mano i cosiddetti cache-sexe vegetali, poi gli artisti lasciano i loro soggetti liberi di assumere pose diverse. Le foglie di fico permettono al resto del corpo di esprimere sensualità, ma sono troppo grandi, e vengono rimpiazzate da quelle della vite, dell’edera e di altre piante, sufficienti a nascondere i genitali.

Gli artisti del Rinascimento riscoprono i corpi perfetti della statuaria classica, aggiungendo un tocco di sensualità e di erotismo, ma mantenendo le convenzioni degli antichi. Nel ritrarre la sua Venere, Botticelli utilizza la chioma della dea per rappresentare in modo nuovo il sesso femminile, esaltandolo.

Tintoretto prima, e Rubens più tardi, aggirano la censura inventando posizioni e stratagemmi per attirare lo sguardo verso ciò che non doveva essere mostrato, regalando erotismo soprattutto alle figure femminili.

Nel Sei e Settecento, i drappeggi avvolgono i corpi nell’arte sacra e in quella profana. Ci si abbandona ai piaceri, come nei dipinti di Boucher, dove le composizioni esprimono voluttà, ma gli organi sessuali non compaiono mai. La nascita dell’estetica concede un nuovo alibi alla censura, non più solo ispirata al peccato originale e ai veti religiosi, ma al pensiero di molti filosofi, secondo i quali gli organi sessuali sono incompatibili con la bellezza, essendo il sesso qualcosa di animalesco.

Nell’Ottocento, in Europa, lo spirito libertino dell’Illuminismo si estingue con la Restaurazione. La monarchia torna al potere e la mannaia post-rivoluzionaria si abbatte sulle sculture che raffigurano corpi nudi, attirando l’attenzione proprio su quello che si vuole nascondere. La censura ostacola qualsiasi progresso, ed è un impedimento a qualunque tentativo di capire la realtà. Il pubblico comincia a farsi beffe di quella che considera un’ipocrisia bacchettona, e la foglia di vite diventa uno strumento di denuncia dei divieti.

Nei primi anni Venti del Novecento, gli artisti vogliono dimostrare che, inserendo nelle loro opere alcuni oggetti che nascondono gli organi sessuali, si può stimolare l’immaginazione dell’osservatore, invitandolo a chiedersi quale sia la funzione di quegli oggetti.

Con il libero accesso alle scuole d’arte e agli studi di nudo, le donne prendono le distanze dai loro colleghi uomini e danno vita a uno sguardo nuovo, cercando di fare delle loro modelle dei soggetti, anziché degli oggetti. L’artista Suzanne Valadon, prima donna a dipingere un nudo maschile nell’opera “Adamo ed Eva”, fa vivere i suoi nudi di vita propria, concedendosi la libertà di mostrare dettagli fisici proibiti, in barba alla censura.

Malgrado il passare dei secoli, i tabù resistono ancora oggi e i cache-sexe fanno ormai parte della nostra vita quotidiana. Basta guardarsi intorno: sono sui muri, nei manifesti pubblicitari, al cinema, nei social media. Forse siamo noi a prestargli più attenzione di un tempo e a renderli, per ciò stesso, visibili.

Viviana Rossi

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