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Castello di Cisterna e Brusciano citati nel Libro VII dell’Eneide

Castello di Cisterna e Brusciano citati nel Libro VII dell’Eneide

Il “Nostro” Salvatore Cantone, nei suoi Cenni Storici, da storico positivista quale era tagliò corto sulla leggenda di Ebalo. Nell’intro scrive esplicitamente “né farneticherò, col Turboli e col Corcia, 3 sul settimo libro dell’Eneide, d’un Bàtulo e del suo castello Rufras, conquistati dal favoloso Èbalo, re dei Serrasti, e che sarebbero sorti là, dove ora si vedono Brusciano e Cisterna”.

Castello di Cisterna e Brusciano citati nel Libro VII dell’Eneide

Il motivo? Non annoiare il lettore che, anzi, ne avrebbe avuto diletto e di più dietro la leggenda, come vedremo, un dominio sulle terre di Castello di Cisterna, Brusciano, Marigliano, Pomigliano c’era da tempo immemore. Continua quindi “No; perché navigherei, tuttavia, in alto mare, correndo anche il rischio di miraggi pericolosi, e di abusare troppo – ciò che, al postutto, più monta – della infinita cortesia del lettore.”

Ne parlano invece il Turboli in Ricerche storiche su Marigliano e Pomigliano d’Arco ed il Corcia, in Storia delle due Sicilie, vol.II  nonché Holm, Ricerche sulla Campania, in Arch. st. per le province napolitane An. XI.

Quali i versi? Eccoli subito

Nè tu senza il tuo nome a questa impresa,
Èbalo, te n’andrai, del gran Telone
E de la bella ninfa di Sebeto
Figlio onorato. Di costui si dice
Che, non contento del paterno regno,
Capri al vecchio lasciando e i Teleboi,
Fe’ d’esterni paesi ampio conquisto,
E fu re de’ Sarrasti e de le genti
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso
Di Bátulo, di Rufra, di Celenne
E de’ campi fruttiferi d’Avella.
Mezze picche avean questi a la tedesca
Per avventarle, e per celate in capo
Suveri scortecciati, e di metallo
Brocchieri a la sinistra, e stocchi a lato.

Parafrasando, nonostante a chiarezza:

Il mio canto non sarà senza parole per te, Ebalo: tutti ti dicono figliolo della Ninfa Sebetide e di Telone, quando già vecchio regnava con i suoi Teleboi sull’isola di Capri. Ebalo, non contento dei dominii paterni, era passato in Italia e aveva conquistato un vasto territorio: il popolo dei Sarrasti, la pianura irrigata dal Sarno, Rufa, Batulo, i campi di Celenne, le alte mura di Avella ricca di mele. Gente che lancia giavellotti di tipo teutone, ha in testa elmi di scorza di sughero, ha scudi di bronzo lucente, spade lucenti di bronzo.

Ma cosa succede di fatto nel Libro VII dell’Eneide?

I troiani salpano da Cuma e giungono in un porto della Campania situato a Nord, qui muore Caieta, la nutrice di Enea, nell’Esperia. Stanchissimi e affamati (tanto da mangiare le mense, piatti di focaccia dura, proprio come avevano previsto le arpie), sbarcano alla foce del Tevere; Enea decide quindi di inviare un ambasciatore di nome Ilioneo al re del luogo, Latino. Questi accoglie con favore l’emissario di Enea, e gli dice di essere a conoscenza che Dardano, il capostipite dei Troiani, era nato nella città etrusca di Corito. Ilioneo risponde: “Da qui ebbe origine Dardano… Qui Apollo ci spinge con ordini continui”(VII 240).

In ogni caso Latino si mostra favorevole ad accogliere i Troiani perché suo padre, il dio italico Fauno, gli ha preannunciato che l’unione di uno straniero con sua figlia Lavinia avrebbe generato una stirpe eroica e gloriosa: per questo motivo il re aveva in precedenza rifiutato di concedere Lavinia in moglie al giovane re dei Rutuli, Turno, anche lui semidio (in quanto figlio della ninfa Venilia): la volontà degli dei si era manifestata anche attraverso prodigi.

L’uccisione del giovane valletto latino Almone

La piega che gli eventi stanno prendendo non piace a Giunone che con l’aiuto di Aletto, una delle Furie, rende geloso Turno e spinge la moglie del re, Amata, a fuggire nei boschi con la figlia e a fomentare l’odio verso gli stranieri nella popolazione locale. L’uccisione del giovane valletto latino Almone, colpito alla gola da una freccia durante una rissa fra Troiani e Italici provocata dalla Furia, scatena la guerra: Turno, nonostante il parere contrario di Latino, raduna un esercito da inviare contro i Troiani.

Tra questi il Nostro Ebalo e poi altri eroi e persino semidei. Il suo alleato principale è Mezenzio, il re etrusco di Cere, cacciato dai sudditi per la sua crudeltà: vi sono poi, tra gli altri, Clauso, principe dei Sabini, alla testa di un corpo militare particolarmente imponente; i due semidei italici Ceculo e Messapo, figli rispettivamente di Vulcano e Nettuno; Ufente, capo degli Equi; Umbrone, condottiero dei Marsi e noto serparo; Virbio, giovane re di Aricia e nipote di Teseo; la vergine guerriera Camilla, regina dei Volsci. Ciò detto ritorniamo al castello di Ebalo.

“Castella Campaniae a Samnitibus condita”

Il Castello in questione doveva, dunque, situarsi ove ora sorge a Castello di Cisterna quanto riguarda tra le località conquistate da Ebalo, re di Capri, che, come detto, estese i propri possedimenti fino alle zone bagnate dal Sarno, conquistando Bàtulo, Rufra, Celenne e i campi fruttiferi di Avella. I commentatori latini Servio e Elio Donato nei commenti all’Eneide precisano che sia Batulo che Rufrae erano “Castella Campaniae a Samnitibus condita” che significa: “fortezze (accampamenti) della Campania fondate dai Sanniti”.

In virtù del fatto che le altre due Rufrae della Campania si trovavano una nel Casertano e un’altra al confine con il Molise, l’ipotesi più probabile è che il Rufrae di cui parlava Virgilio si trovasse al centro della Campania e rappresentasse l’odierna Castello di Cisterna. D’altronde, a riprova di ciò, il territorio di Brusciano vanta delle origini antichissime: autori greci e latini narrando avvenimenti che vedevano come protagonista l’antica città di Nola, hanno evidenziato come i territori nord orientali dell’entroterra compresi tra l’antica Neapolis e la stessa Nola, avessero una notevole importanza strategica.

Brusciano era una zona paludosa, ricca di bisce

Quando infatti cominciarono a fiorire gli insediamenti lungo la fascia costiera, in special modo nelle zone adiacenti di Cuma, ove si dipartì in questo VII Libro Enea,  si venne a creare una situazione per cui le genti che popolavano quei territori, tendevano a spingersi verso le zone interne.

Fu proprio tale espansione a determinare una situazione di tensione con gli Etruschi i cui insediamenti si estendevano dalla piana del Sele sino ad arrivare ai centri maggiori di Nuceria, Capua, Nola. Nell’agro nolano non lontano da Brusciano, infatti si ritrovano evidenti tracce della civiltà etrusca e di quella sannitica che ebbe il suo periodo di massimo splendore tra il 439 ed il 421 a.C. Brusciano era una zona paludosa, ricca di bisce e da bixiae sarebbe derivato Bixianum, diventato, poi, Brusciano.

Il fiume Sarno

Oltre che dalla etimologia lo si evince dall’’antico stemma aveva come sostrato una zona paludosa, inoltre la zona più antica di Brusciano sia stata via Padula, una volta via Palude. La suddetta Palude si formava, quasi certamente, per le acque limacciose del fiume Sarno o magari del Sebeto, che passava circa duemila anni fa a levante tra Acerra e Maddaloni, lambendo anche il territorio di Brusciano

A riferirlo è Strabone che, dopo aver descritto l’antica città di Napoli, passa a parlare del castello di Ercolano, situato in un promontorio alla veduta del mare, perciò delizioso ed ameno di abitazioni, dopo questo della città di Pompei, bagnata dal fiume Sarno ed una   volta abitata dagli Osci e quindi dai Tirreni e dai Pelasgi e finalmente dai Sanniti Conclude affermando che questo fiume correva non solo per la città di Nucera e di altra città dello stesso suo nome, cioè per la città di Sarno, ma ancora comunicava con quella di Nola e di Acerra ed era per tutte queste navigabile e di continuo traffico.

Le parole di Strabone si uniformano in qualche maniera ad una antica tradizione dei Nolani, che un tempo il mare fosse giunto fino alla loro città, ciò sta a significare che Nola comunicasse con il mare per mezzo del suddetto fiume. Le ancore, i ferramenti ed altri attrezzi navali, ritrovati in diversi luoghi di Nola e la Chiesa della Madonna del porto, sostengono ed avvalorano, senza ombra di dubbio, l’anzidetta tesi. Una ipotesi suggestiva che anche per la nostra Pomigliano scorresse il Sebeto o il Sarno, in cui altrove, in un mio scritto su Sant’Afrodite, ho parlato lungamente.

Ma che fine ha fatto il fiume?

È ragionevole pensare che un fiume così rinomato e famoso nell’antichità, cantato da diversi scrittori, si sia disperso nei meandri sotterranei del suolo a causa della violenza di grandi terremoti che, al tempo dell’imperatore Nerone, scossero con tanto impeto e con tanta devastazione queste regioni, facendo fuggire a Roma quasi tutti i suoi abitanti. Con fine oratoria, a pericolo ultimato, Seneca, galvanizzò i popolani e li convinse a ritornare a queste terre. Le sue acque si vedono ancora ai nostri giorni comparire erranti in diversi luoghi dell’agro nolano e napoletano, Casamarciano, monte Sant’Angelo, Nola, a Volla.

Giovanni Di Rubba

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