In Palestina 200 giorni di massacri. Pietà per Gaza!(Foto di Mohammed Salem, Reuters, World Press Photo Contest 2024)
La foto di Mohammed Salem, Reuters, presentata al World Press Photo Contest 2024 ha immortalato Inas Abu Maamar mentre tiene tra le braccia il corpo inerme di sua nipote di 5 anni Saly, uccisa insieme a sua madre e sua sorella dopo che un missile israeliano è piombato sulla loro casa a Khan Younis, a Gaza, in Palestina.

Oggi ricordiamoci solo dei bambini! Di quelle vittime innocenti che non hanno alcuna colpa per i gravissimi crimini che vengono loro comminanti senza alcuna pietà. Piccoli inermi che gridano con tutte le loro forze e che piangono senza sosta, tra questi immaginiamo anche quelli che non hanno più possibilità di lamentarsi, né di versare lacrime, perché rimasti bloccati sotto le macerie (e forse hanno compreso che nessuno li andrà mai a salvare). Per loro non c’è nessuna tregua. Bambini, sono solo bambini! Cosa rimane dunque dallo scoppio delle ostilità, dei 200 giorni di massacri a Gaza (Palestina) e delle uccisioni il 7 ottobre in Israele?

Dopo quello che continua a succedere ancora oggi bisognerebbe allora gridarlo con forza: Avete lasciato a questi bambini innocenti solo violenza, morte, disperazione e fame! Ma non basta perché si dovrebbero descrivere anche tutti quegli eventi traumatici, drammatici e lesivi della vita di un bambino, come la perdita del proprio papà, rimasto ucciso in un bombardamento aereo o con colpi d’arma da fuoco (o in altro modo), il non ritrovare più la mamma, morta anche quest’ultima, oppure guardarsi intorno e rendersi conto che entrambi i genitori non ci sono più e non torneranno mai più da te, guardare i fratelli e le sorelle che giacciono al suolo senza vita, addirittura non poterli più vedere nemmeno da cadaveri perché dispersi sotto cumuli e blocchi di cemento di quella che un tempo era la casa dove regnava una famiglia.

Senza dimenticare la profonda devastazione dei territori palestinesi, con la conseguente distruzione di case, scuole, ospedali, centri medici, strade ed altre infrastrutture civili. Per finire si è costretti a lottare contro i gravi rischi per la sicurezza dovuti alla presenza di ordigni inesplosi, i cosiddetti UXO (Unexploded ordnance).

Gaza nel suo ultimo abbraccio

Ho scelto questa foto che state vedendo in copertina, battezzata “La Pietà di Gaza“, perché, come già accennato, siamo arrivati a 200 giorni dalla strage del 7 ottobre in Israele e dai massacri nella Striscia di Gaza, terra di Palestina martoriata oramai da decenni (75 anni!). La giovane donna che trattiene avvolta tra le braccia quel piccolo corpo senza più vita si chiama Inas Abu Maamar.

La 36enne palestinese stringe stretta a sé, nel suo ultimo abbraccio, la nipote di soli 5 anni Saly, uccisa insieme a sua madre e a sua sorella dopo che un missile israeliano è piombato sulla loro casa a Khan Younis, a Gaza.

La persona che ha scattato la foto è tra i vincitori del World Press Photo Contest 2024, il concorso di fotogiornalismo e fotografia documentaristica più importante del mondo, si chiama Mohammed Salem e lavora per una delle più grosse agenzie di stampa internazionali, la Reuters.

Salem ha immortalato, il 17 ottobre 2023, la donna palestinese e sua nipote morta in un “momento – afferma il fotografo – potente e triste che riassume il senso più ampio di ciò che stava accadendo nella Striscia di Gaza”. Salem ha visto Inas raccolta per terra, mentre teneva vicino al petto la bambina, all’interno dell’obitorio dell’Ospedale Nasser, è lì che i cittadini si recavano pochi mesi fa con la speranza di trovare i propri familiari scomparsi.

Il fotografo, dal suo profilo della Reuters, ricorda anche una sua foto del 2009 (che ha vinto il premio World Press Photo 2010), la quale risale a quando le Forze di difesa israeliane (IDF) colpivano con bombe al fosforo bianco i territori palestinesi. Si trattava della prima testimonianza dell’uso delle armi chimiche a Gaza (all’epoca l’UNICEF intitolava una sua pubblicazione così: “Gaza, una guerra contro i bambini”).

200 giorni di massacri a Gaza, un vero e proprio “tradimento dell’umanità

Dopo questo tempo (per chi lo vive in prima persona sembra non avere mai fine) si può parlare, riguardo quanto accaduto e quanto sta accadendo ancora oggi, di “tradimento dell’umanità“, come descritto dal Capo dei soccorsi delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, in uno dei suoi ultimi messaggi?

Anche il Papa, ha sostenuto in questi ultimi giorni un pensiero condivisibile: “Guardiamo tutti al futuro con gli occhi dei bambini. Loro non si chiedono chi è il nemico da distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; loro hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!“. Vorremmo forse sostenere che Francesco – in questo caso – non abbia ragione al 100%?

Ma dovrebbe essere una domanda a fare pressione alle coscienze di tutti: Perché nessuno interviene a protezione della popolazione di Gaza? Perché non si liberano gli ostaggi israeliani?

Foto di Mohammed Salem, Reuters, World Press Photo Contest 2024)
Palestinian woman Inas Abu Maamar, 36, embraces the body of her 5-year-old niece Saly, who was killed in an Israeli strike, at Nasser hospital in Khan Younis in the southern Gaza Strip, October 17, 2023. REUTERS/Mohammed Salem

Dichiarazione di Martin Griffiths, Sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza dell’ONU

“Siamo arrivati ​​ad un traguardo terribile. Per la popolazione di Gaza, gli ultimi sei mesi di guerra hanno portato morte, devastazione e ora la prospettiva immediata di una vergognosa carestia provocata dall’uomo. Per le persone colpite dall’orrore duraturo degli attentati del 7 ottobre sono stati sei mesi di dolore e tormento.

Ogni giorno questa guerra miete sempre più vittime civili. Ogni secondo che continua semina i semi di un futuro così profondamente oscurato da questo conflitto implacabile. Come io e molti altri abbiamo ripetutamente affermato, la fine di questa guerra è attesa da tempo.

Ci troviamo invece di fronte alla prospettiva inconcepibile di un’ulteriore escalation a Gaza, dove nessuno è al sicuro e non c’è nessun posto sicuro dove andare. Un’operazione di aiuto già fragile continua a essere compromessa da bombardamenti, insicurezza e negazioni di accesso.

Raramente si è verificata una tale indignazione globale per il prezzo di un conflitto, si è apparentemente fatto così poco per porvi fine ed invece rimane così tanta impunità. In questo giorno, il mio cuore va alle famiglie delle persone uccise, ferite o prese in ostaggio, e a coloro che affrontano la particolare sofferenza di non conoscere la difficile situazione dei loro cari. Non basta che sei mesi di guerra siano un momento di ricordo e di lutto: occorre anche stimolare la determinazione collettiva affinché si facciano i conti per questo tradimento dell’umanità“.

Andrea Ippolito

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