Bibi Netanyahu e l’ombra della Corte penale internazionale

La CPI sarebbe in procinto di emettere alcuni mandati di arresto, tutti destinati non solo ad una parte del governo di Israele, tra cui il premier, ma anche nei confronti dei leader di Hamas. Sarà vero?

Mentre Gaza sta diventando un cimitero a cielo aperto è in corso la valutazione di un potenziale cessate il fuoco nella “Striscia” con il rilascio degli ostaggi israeliani. Per Bibi Netanyahu invece sembra avvicinarsi l’ombra della Corte penale internazionale, quella che da alcune ore in molti chiamano semplicemente CPI.

Afferma pochissimi giorni fa il vice capo politico di Hamas a Gaza Khalil al-Hayya: “Il movimento di Hamas ha ricevuto la risposta ufficiale alla propria proposta di cessate il fuoco, consegnata ai mediatori egiziano e del Qatar il 13 aprile. Il movimento studierà questa proposta e, successivamente, presenterà la propria risposta”. Israele nel frattempo ha chiesto la liberazione di 33 ostaggi in cambio dell’annullamento dell’invasione di Rafah da parte delle Forze di difesa israeliane (IDF).

Ma c’è un’altra notizia, rilanciata da numerose testate – in primis da quelle israeliane – che sconvolge l’ordine delle cose come le abbiamo viste e vissute fin’ora: la CPI – Corte penale internazionale (ICC – International Criminal Court, ndr.) sarebbe in procinto di emettere alcuni mandati di arresto, tutti destinati ad una parte del governo di Israele, quindi rivolti al premier Benyamin Netanyahu, al ministro della Difesa Yoav Gallant e al capo delle Forze di difesa Herzi Halevi. Ma a quanto pare la CPI farebbe lo stesso anche nei confronti dei leader di Hamas. Sarà vero?

La CPI vuole fermare l’ennesima carneficina, strage, uccisione di donne, bambini, uomini ed anziani? Massacri che saranno inevitabili se l’Esercito israeliano entrerà a Rafah dove è convogliata e sfollata ancora oggi gran parte della popolazione della Striscia di Gaza (area dove vivono oltre 2 milione di palestinesi).

Tra il cessate il fuoco ed il riconoscimento dello Stato della Palestina, quanto altro sangue dovrà essere versato?

Cosa ha detto Bibi Netanyahu sulla Corte penale internazionale

Forse la conferma che le indagini della Corte stiano arrivando al dunque arriva proprio dalle stesse parole dell’attuale premier israeliano, pubblicate direttamente dal suo profilo ufficiale della piattaforma X (Twitter). Nel post Netanyahu parla proprio della ICC, acronimo di International Criminal Court (appunto Corte penale internazionale):

  • “Sotto la mia guida, Israele non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte penale internazionale di minare il suo diritto intrinseco all’autodifesa. La minaccia di sequestrare i soldati e i funzionari dell’unica democrazia del Medio Oriente e dell’unico Stato ebraico al mondo è scandalosa. Non ci piegheremo a questo. Israele continuerà a condurre fino alla vittoria la nostra giusta guerra contro i terroristi genocidi e non smetteremo mai di difenderci. Anche se la Corte penale internazionale non influenzerà le azioni di Israele, creerebbe un pericoloso precedente che minaccia i soldati e i funzionari di tutte le democrazie che combattono il terrorismo selvaggio e l’aggressione sfrenata”.
Post X Twitter Bibi Netanyahu Corte Penale Internazionale ICC
Il Post di Bibi Netanyahu su X/Twitter riguardo la Corte Penale Internazionale da dove si evince la sigla “ICC”

Il problema, tra gli innumerevoli che si presentano, è che Bibi Netanyahu descrive – nel suo post – la guerra come “giusta”, ma ci dovrebbe dire quale guerra sarebbe giusta, inoltre se esistono guerre giuste e guerre sbagliate?

È saltato anche il riconoscimento dello Stato della Palestina

Va ricordato che quando si paventava la possibilità del riconoscimento dello Stato della Palestina all’ONU, sempre Hamas dichiarava che avrebbe sciolto la sua parte armata (il cosiddetto braccio armato) nel caso in cui si fosse realizzata effettivamente la formazione dello Stato palestinese (anche se l’organizzazione chiede i confini del 1967). Informazioni fornite a Doha, in Qatar, durante un incontro tra il ministro degli Esteri della Turchia Hakan Fidand ed il capo dell’ufficio politico di Hamas Ismaïl Haniyeh.

Ma la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), che raccomandava all’Assemblea Generale l’ammissione dello Stato della Palestina come membro dell’ONU e che doveva passare con 9 voti a favore e nessun veto, veniva invece arrestata da quello degli Stati Uniti d’America.

All’interno dell’UNSC si sono registrati 12 voti a favore, quelli di Algeria, Ecuador, Cina, Francia, Giappone, Guyana, Malta, Mozambico, Russia, Sierra Leone, Slovenia e Corea del Sud, 2 astensioni da parte della Svizzera e della Gran Bretagna, infine il veto degli USA.

Successivamente la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza doveva approdare all’Assemblea Generale ONU per poi essere approvata con la maggioranza dei due terzi.

Mahmūd Abbās, detto anche Abū Māzen, Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, dopo il voto affermava: “Questa politica aggressiva degli Stati Uniti nei confronti della Palestina, del suo popolo e dei suoi diritti legittimi rappresenta un palese attacco al diritto internazionale e un incoraggiamento alla continuazione della guerra genocida contro il nostro popolo, che spinge ulteriormente la regione sull’orlo del l’abisso”.

Dalla parte di Hamas arrivava invece la conferma alla continuazione della lotta per la creazione di uno Stato della Palestina indipendente con capitale Gerusalemme.

Le altre accuse rivolte dal Sudafrica a Israele e l’esame dall’altra Corte internazionale

Ricordiamo quanto accaduto anche alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia poche settimane fa, quando il Tribunale ha respinto il ricorso presentato da Israele contro le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica per la tragedia immane della Striscia di Gaza.

Al Palazzo della Pace, ricordiamolo, la presidente della Corte e giudice Joan E. Donoghue (USA) ha annunciato (sentenza preliminare) che le accuse mosse dal Sudafrica contro Israele rientrano nelle disposizioni della Convenzione sul genocidio, inoltre che “i palestinesi sembrano costituire un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso distinto, e quindi un gruppo protetto, ai sensi dell’articolo 2 della convenzione sul genocidio”. Ha detto ancora che esistono prove sufficienti per una valutazione dei presunti atti di genocidio commessi da Israele contro il popolo palestinese.

Va tenuto presente però che la Corte non ha ordinato un cessate il fuoco, intimando però allo Stato ebraico di prevenire atti di genocidio a Gaza, ha poi chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi israeliani a Gaza”, ha definito i prossimi comportamenti degli israeliani, quindi di prendere “misure immediate ed efficaci per l’assistenza umanitaria necessarie per affrontare le condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia di Gaza”, riportare al Tribunale dell’Aia le misure adottate per prevenire gli atti di genocidio, conservare le prove di queste misure e renderle accessibili alle missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

La giudice statunitense ha anche riferito le cifre riguardanti i morti e gli sfollati palestinesi, nonché israeliani, chiarendo l’impossibilità attuale di verificare in maniera indipendente queste specifiche, ma riprendendo le parole del Sottosegretario generale ONU per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza Martin Griffiths, il quale ha riferito appunto che “Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione“.

 

 

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