Il Cesare del male e della vergogna aleggia su Gaza e su Rafah
Bambini sfollati fuori dai loro rifugi improvvisati a Gaza. Foto UNICEF/El Baba

Per la grande violenza che sta imperversando da mesi nella Striscia di Gaza si può parlare della “vergogna” e allo stesso tempo del “male“, nella sua accezione più orribile? Senza dimenticarci della ricerca della pace, non contemplata da nessuna delle parti in campo, se non dalla popolazione inerme e disarmata che sta subendo torti inenarrabili.

Può un “Cesare” – rispetto al ruolo pubblico e politico dietro al quale si nasconde – avere molte più responsabilità di quelle che non crede di detenere tra le mani?

In queste ore gran parte del popolo palestinese è convogliato nell’area a sud di Gaza, vicino al confine con l’Egitto. Le famiglie, con i propri bambini innocenti, attendono spaventate e terrorizzate che le truppe dell’Esercito israeliano procedano con l’invasione di Rafah, come più volte annunciato dal premier Netanyahu.

Al 24 aprile quasi 1,7 milioni di sfollati si trovavano in rifugi di emergenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ed in rifugi pubblici (leggi anche: In Palestina 200 giorni di massacri. Pietà per Gaza!). Mentre continuano i negoziati con Hamas per una tregua, un cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi israeliani.

A questo punto della storia è bene ricordarsi una parola in particolare (la riporterò in grassetto), magari citando il Canto I del Paradiso di Dante Alighieri: “…Sì rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l’umane voglie”. Qui è proprio il “Cesare” (caesar, kaiser, kaisar, zar, etc., imperatore, condottiero, generale di un esercito, comunque lo vogliamo inquadrare e definire) a starci proprio male, anche se nel primo Canto del Paradiso il Dante mette uno di fianco all’altro il poeta e chi evidentemente si occupa del governo di un territorio, questo affiancamento non è certamente felice.

Forse il Dante li abbinava insieme per via della corona di alloro (lauro, laurus, pianta di lauro), che si usava per entrambe le categorie di personaggi per simboleggiare vittorie e successi?

Il poeta fiorentino, nei suoi scritti, probabilmente si rammarica perché in quel tempo (nella sua epoca) mancavano all’appello appunto condottieri che potessero rimettere il popolo sotto l’esercizio imperiale (e ben domato)? Nel Canto VI del Purgatorio, Dante infatti dice: “Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota, guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella. O Alberto tedesco ch’ abbandoni costei ch’ è fatta indomita e selvaggia, e dovresti inforcar li suoi arcioni“.

Quale gloria per inenarrabili spargimenti di sangue?

Ora, lasciando Dante al suo pensiero e ai suoi indubbi successi di poeta – per i quali merita senza alcuna restrizione la sua corona fatta di Laurus nobilis – ritorniamo a Gaza, domandiamoci quindi quale gloria dovrebbe ottenere un Cesare, in questo caso governatore di una regione, macro-regione, Stato, popolo, etc., se all’interno di quello che viene riconosciuto come trionfo (o tanto agognata vittoria) risultano inclusi violenza, morte, fame, carestie, uccisioni di bambini, donne, anziani e infine uomini? In tutto questo fiume di sangue sparso che se ne farebbe della “gloria” un Cesare che vede passare sotto i suoi ponti quantitativi incalcolabili di sangue di vittime inermi, che egli stesso ha ordinato di far versare?

Pertanto, alla luce di ciò, una ed una sola parola ne viene partorita: VERGOGNA! E qui la vergogna, sia ben inteso, non è quella riferita all’emozione sociale legata alla paura per un potenziale fallimento personale, perché ci si sente inadeguati, etc. Ma attenzione, non è neppure quella di chi si rende conto di aver agito in maniera totalmente o parzialmente errata e disonorevole per aver commesso crimini efferati, lontanissimi da quello che dovrebbe riconoscersi come azione volta al rispetto per i diritti umani. Qui la vergogna è intesa come atto da compiere in maniera imperativa, cioè: VERGOGNATEVI! Se mai un giorno ci riuscirete… 

Si vergogni sia chi ha colpito uccidendoli oltre mille israeliani (e stranieri), rapito ostaggi, portando a termine gli attacchi del 7 ottobre 2023. Si vergogni chi sta lanciando missili e bombe, da sei mesi, addosso ad una popolazione inerme, seppur si vogliano e si provino a giustificare tutte le operazioni militari delle Forze di difesa di Israele (IDF) con la debellatio di Hamas o con altre motivazioni che comunque non trovano alcun riparo all’ascolto dello stridente numero dei bambini morti, amputati, rimasti orfani, finiti senza un tetto in mezzo a villaggi per sfollati e chissà cos’altro.

Il “Cesare” del male e della vergogna aleggia su Gaza e su Rafah. La anormalità diventa normale

In questi giorni mi è stata posta la domanda se quanto stia accadendo all’interno della Striscia di Gaza sia giusto in termini di etica, diritto internazionale, giustizia, ma anche delle leggi naturali. Ebbene porsi questa domanda non è corretto, perché è assodato che non lo sia (che non sia giusto in nessun termine), o meglio qui non si figurano eventi “corretti” o “sbagliati”, non si parla del fatto che una cosa sia “giusta” o “sbagliata”, perché tutto ciò che succede e viene deliberatamente provocato nei territori palestinesi è di per sé una follia e una devianza vera e propria, a prescindere. Ed un atto di follia o di devianza sarebbe un qualcosa di accettabile? (Seppur andrebbe definito il limite della follia…).

A tal proposito è utile citare un concetto di Émile Durkheim, espresso nel suo “De la division du travail social” (opera del 1893), che calza a pennello: “Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo“. Ora a Durkheim andrebbe aggiunto un altro concetto, cioè che la coscienza comune può essere plasmata, ridefinita, riorganizzata, destrutturata e ricostruita, grazie alla comunicazione di massa e alla capacità che quest’ultima ha di influire sul pensiero comune, nonché di influenzare menti inermi a qualsiasi difesa.

Pertanto l’atto di grave devianza non diventa criminale quando una comunità lo ritiene “anormale” – proprio perché già criminale nella sua natura e nelle caratteristiche umane, anzi disumane, di chi lo compie – ma quando arriviamo a normalizzare l’anormale. Quando si giunge infine a non porsi domande, oppure a non porsi alcuna domanda.

Ne lascio dunque qualcuna per riflettere insieme: E’ normale che civili inermi vengano uccisi? Non è forse assurdo ed inconcepibile che due governi in lotta da decenni non riescano a trovare un accordo per convivere insieme, seppur a distanza e con i propri confini? Nel caso di Israele, è normale comandare bombardamenti dall’aria, dalla terra e dal mare, che provocano vittime civili, feriti, orfani, sfollati, distruzione di case, di scuole, di ospedali e di altre infrastrutture civili? Nel caso di Hamas, è normale che venga usata una intera popolazione per nascondersi nel sottosuolo o negli ospedali che sono di vitale importanza per i feriti, soprattutto in caso di situazioni belliche? A chi giova detenere ostaggi civili israeliani? Perché sono stati attaccati civili israeliani e stranieri, anziché postazioni militari?

Ma le domande potrebbero continuare fino a riempire decine e decine di pagine di giornale, anzi sarebbe meglio affermare che le domande avrebbero dovuto riempire le pagine dei quotidiani e non le narrazioni volte ad accusare una parte in conflitto e a difendere l’altra o viceversa. I quotidiani dovevano essere stracolmi di domande, di perché, invece nella maggior parte dei casi abbiamo letto di prese di posizione, reazioni ideologiche, appoggio o difesa, mentre nel frattempo il numero dei decessi aumentava inesorabilmente. Abbiamo però anche appurato – nostro malgrado – come si svolge il ruolo di “arrampicatore di specchi”.

Quindi, riportando Émile Durkheim nella Gaza di oggi, possiamo affermare che è giustificabile lo sterminio di oltre 35mila palestinesi inermi, di cui oltre 12mila bambini, anche piccoli e piccolissimi? E’ giustificabile, accettabile, corretto, giusto, che migliaia di cittadini che non imbracciano armi, né per attaccare, né per difendere, vengano trucidati, dilaniati, da bombe che vengono lanciate da aerei da guerra (in questo caso israeliani)? E’ infine corretto che chi esprime la sua maggior forza in campo aereo, rada al suolo intere città, lasciandosi dietro un schiera di morti e di disperazione?

Si dovrebbe piuttosto discutere sul perché venga imposta tanta sofferenza e perché nessuno intervenga a protezione della popolazione di Gaza

 

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