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Baby gang, l’analisi di un fenomeno: il “branco” e le altre condotte

Baby gang, l’analisi di un fenomeno: il “branco” e le altre condotte

Sempre più spesso si sente parlare di attacchi ai cittadini dalle cosiddette baby gang, sebbene si faccia una confusione terminologica tra i fenomeni di bullismo, cyberbullismo, gangismo e gli atti orribili compiuti dal cosiddetto “Branco”-è questo il Nostro caso-, è necessario precisare che si tratta di atti con una chiara distinzione, sia nelle modalità, sia nei mezzi, attraverso cui si pongono in essere tali atti, sia, infine, per quanto riguarda la loro durata nel tempo.

Baby gang, l’analisi di un fenomeno

Importante è sottolineare, a proposito, che tali fenomeni sono accomunati sia dall’età di riferimento, l’adolescenza, sia dalle caratteristiche ad essa proprie, ovverosia dal disagio. Il gangismo, a differenza ad esempio del bullismo o del branco, ha caratteristiche completamente diverse, basandosi su un seppur rudimentale “codice d’onore” (che ne delinea i principi cardine) ed un “codice di condotta” (che ne delinea le modalità attraverso le quali porre in essere la condotta deviante o criminale).

Tali codici sono quelli che Cohen chiama codici morali e che spingono alla delinquenza in quanto l’adolescente ad essi aderisce ed essi interiorizza. Ora, il codice d’onore, nelle gang, può essere di tre tipi, il primo legato alla sottocultura -noi preferiamo dire cultura urbana- cui gli stessi si ispirano, spesso ponendo in essere dei travisamenti personalissimi dello Skin, del Gabber, dell’Emo, dello Ska, dell’Hip Hop, del Gotic, del Cyber, del Punk, nelle diverse declinazioni anarcopunk, punkabbestia.

Il “branco” e le altre condotte devianti e criminali degli adolescenti contro gli altri

Ora occorre a tal proposito effettuare una precisa e compiuta osservazione. Tale elenco non esaustivo di culture urbane è caratterizzato in primis per una determinata aderenza alla moda, seppur ponendosi in conflitto con essa, infatti, ciascun appartenente segue un look, un vestiario ed un atteggiamento tipico della cultura di riferimento stessa. La caratteristica di queste sotto culture, sta proprio in questo, nella avversione allo schema sociale precostituito, ma l’aspetto fondamentale è che non hanno quasi mai una connotazione di tipo politico, se non tendente all’anarchismo estremista di destra o di sinistra.

Le culture urbane, già attive dagli inizi degli anni ’60, attecchiscono soprattutto tra gli adolescenti proprio perché hanno una base culturale solida nel volere e nel sapere, ma parca nell’attivazione e nella mobilitazione per i raggiungimenti dei loro fini. A differenza dei codici d’onore delle altre gang, quelle politiche e quelle legate alla malavita, il contesto d’azione su cui queste operano è di contestazione, di pars destruens ma manchevole di pars costruens. E ciò ne spiega l’ampia diffusione sul finire degli anni ’80 sino ai giorni nostri, o perlomeno sino alla prima decade degli anni duemila.

Non c’è una verve propagandistica

È a partire da questa epoca che sono infatti crollate le ideologie attive-soprattutto il discrimen è stata la caduta del Muro di Berlino- a favore di quelle cartello, ed è stato facile, a questo punto, l’attecchire in maniera massiccia di tali subculture. Ora, ciascuna di essa, non contenendo alcuna connotazione politica, non si configura come cultura che necessiti di fare proseliti o di creare un mondo da essa dominata.

Non c’è una verve propagandistica, né di carattere religioso né, come detto, politico, tali culture urbane sono culture che, seppur diffuse su scala internazionale, con le medesime ritualità, costumi e generi musicali di riferimento, hanno una connotazione chiusa, cinica, sono in opposizione a ma non sognano un mondo che utopisticamente si sottometta alla loro Weltanschauung. Hanno ben chiaro che esiste un mondo ufficiale e deprecabile, quasi in decadimento postatomico- ed effettivamente in decadimento post-ideologico- e poi ci sono loro, ultimi reduci, indiani nelle riserve, segno di una adolescenza quasi millenarista, che vive l’attimo ed attende una parusia nichilista e castista.

Un mondo estraneo ed ostile

Capiamo bene che questa alternatio non è lesiva, almeno finché non avviene il travisamento, e, ad esempio, allo Skin o al Gabber, caratterizzati da stili completamente opposti, attecchisce un sentimento nazista che si esplica e sorge nel confronto con altre sottoculture, quella Punk ad esempio di ispirazione prevalentemente anarchica, o la Hip Hop più protesa verso sinistra, o l’Emo cinica per eccellenza. E ben capiamo che a questo punto, data l’assenza di cultura politica sottesa, si finisce per uno scontro, non tanto e non solo contro subculture avversarie, ma anche contro quel mondo “estraneo ed ostile ad essere conquistato”.

E la violenza può divenire terribile, insensata, priva di regole proprio perché manca un codice di condotta e la connotazione politica diviene forma d’azione nichilista e distruggente. In questi casi fenomeni devianti sono occasionali ma quando avvengono esplodono con inaudita e cieca ferocia perché ciò che si attacca è il nulla e ciò da cui parte l’attacco è la noia. In parole povere se limitate alla musica, da cui provengono, o all’abbigliamento ed alle azioni tali culture urbane non creano problemi e non cadono nella devianza o nella criminalità ma possono essere addirittura una risposta positiva al disagio adolescenziale, esse infatti, coperte dal manto dell’arte, nel caso di specie la musica, correggono lo spleen attraverso la poesia.

Il disagio adolescenziale dagli albori del millennio

Interessante a proposito una riflessione, breve, sul gruppo musicale Baustelle, gruppo che meglio si sposa a descrivere il disagio adolescenziale dagli albori del millennio ad oggi, aspetto che riprenderemo più volte in seguito, quello della “antiomologata adolescenza torbida” e dei suoi rapporti col cattolicesimo (alternatio religio), un’analisi che è compiuta in maniera acuta nel testo di Jachia e Pilla, cui attingeremo più volte nel corso della trattazione, soprattutto nel capitolo III, con i relativi aggiustamenti, approfondimenti ed accrescimenti che riteniamo opportuni.

Riprendendo una intervista a Rockshock del leader del gruppo, Francesco Bianconi, gli autori[47] fanno un parallelismo tra il montaliano “Spesso il male di vivere ho incontrato” e l’album “La Malavita”, sottolineano come la via creativa sia l’unica possibile contro il male di vivere, il nulla esistenziale, ma non per forza e non solo facendo poesia ma soprattutto vivendo poeticamente. Quando, invece, tali culture urbane estrinsecano una condotta illecita si caratterizzano come quelle condotte che Cohen includeva nella “Teoria della disorganizzazione sociale”, con la sola differenza che tali devianze non si formano in zone interstiziali della città, i cosiddetti slum, ma ovunque ed anzi maggiormente nei centri e nei luoghi ove meglio circola la cultura e maggiori sono gli stimoli.

Un topos senza valori

Prima di passare agli altri due tipi di codici di condotta ed alla sottesa cultura in cui trovano spazio è utile un breve ma essenziale inciso. Esautorate dalla arte tali forme di sottocultura hanno tanto in comune col fenomeno del cosiddetto “Branco”. Il branco è, infatti, un aggregato di adolescenti che provengono da un qualsiasi ceto sociale ma non appartengono a nessuna cultura, nemmeno urbana, e per questo il loro nichilismo afinalistico è ancora più pericoloso. Costoro, se da soli possono anche essere definiti i classici “bravi ragazzi”, acquisiscono una forza bruta unendosi ad altri membri regredendo ad uno stato animale.

Tuttavia, nota bene il Galimberti, assimilare l’azione del branco a quella animale potrebbe farci sentire in diritto di porre una certa estraneità nei confronti di atti all’apparenza insensati mentre è evidente che tale nichilismo, definito dall’autore figlio della speranza delusa di trovare un senso e della noia sono solo all’apparenza inspiegabili. Soprattutto se ci poniamo nella dimensione, analizzata in precedenza, del locus in cui gli adolescenti si trovano a vivere, un topos senza valori, senza rispetto per l’autorità e la cultura, proprio perché vengono ad essere figli si una educazione che impone loro, tramite i modelli dei mass media, film, serie televisive, filmati youtube, ma anche degli insegnamenti genitoriali della classe medio alta, una concezione della vita in cui l’arricchimento, il potere, il sesso, sono gli obiettivi cardine da raggiungere.

La rapina, la violenza carnale

Ed in tale terreno opera il branco, un terreno privo di regole che non siano quelle del più forte, evidente dunque la necessità di colmare la propria debolezza unendosi e divenendo un “mostro collettivo” che, spesso e quasi sempre sotto l’effetto di alcol o droghe stimolanti per colmare la debolezza-, va a cercare proprio ciò che gli è stato propinato dalla educazione. La rapina, la violenza carnale, persino l’assassinio, ponendo sullo stesso livello vita e morte, dolore e sanità, proprio perché tutto ciò è in prima istanza virtuale e non più reale, in seconda istanza merce, e come merce da usare, consumare e disfarsene. L’unica via di salvezza lo spleen con poesia, il baudelairiano spleen artistico.

Il disagio che genera la follia del branco è tratteggiato dallo stesso Galimberti, nel trattare l’episodio di qualche anno fa dei “ragazzi del cavalcavia”, che gettavano sassi dai ponti generando incidenti, riporta le parole di una giovane suonatrice che dice “l’arpa mi ha salvato, altrimenti sarei anch’io a gettare massi”.

Il gangismo religioso è altro dal terrorismo

Passando agli altri due tipi di codici relativi ad altre, a Nostro avviso, tipologie di Gang, faremo solo qualche cenno, per l’economia del discorso. In prima istanza possiamo affermare che per ambedue i tipi di gang il codice d’onore e quello di condotta sono ben strutturati, a differenza delle culture urbane, soprattutto quello di condotta, che in alcuni casi, prevede rituali specifici su come porre in essere l’atto violento. La prima forma è quella della gang politica, cui possiamo accostare anche quella fanatico/religiosa. Ed il richiamo al terrorismo è d’obbligo, seppur chiariamo un concetto.

Il gangismo religioso è altro dal terrorismo ma è spesso prodomo dello stesso, secondo la linea tristemente evolutiva esclusione/gelosia culturale-attività ritorsive delinquenziali-gangismo-terrorismo, evoluzione che si realizza soprattutto in gruppi settari e quando si preferisce l’integrazione al pluralismo. È d’obbligo citarla, dicevamo, soprattutto oggi, se teniamo conto dell’estremismo islamico, in particolare quello dei servi del califfato, ovverossia dell’Isis, perché è un fenomeno che coinvolge soprattutto giovani ed è inoltre figlio, a differenza ad esempio di Al-Qāʿida, dell’era cibernetica, come descrive sapientemente Ballardini.

Il fenomeno dello Stato Islamico combattente

E coinvolge i giovani attraverso la rete, a fini propagandistici, creando un vero e proprio brand, logo, prodotto parusistico preconfezionato e vendibile, propaganda della guerra, della necessità di porre in essere uno Stato Islamico qui ed ora su tutta la Terra, che non solo intimorisce l’occidente con i cruenti video di esecuzioni che vengono da “lontano”, con ben specifici format ma che fa leva sul nichilismo giovanile di individui all’apparenza perfettamente integrati, occidentalizzati, persino nei vizi, per fare proseliti, utilizzando non solo semplici comunicati politici o dichiarazioni ideologiche, ma addirittura composizioni musicali, riviste, blog, che rischiano di stuzzicare i cosiddetti “lupi solitari” che colmano il loro vuoto di valori col gesto estremo del “martirio improprio”, non solo uccidendo gli altri “infedeli”, ma addirittura, e su questo torneremo nel paragrafo seguente, uccidendo sé stessi.

È utile citare il fenomeno dello Stato Islamico combattente perché il rischio di proselitismo tra adolescenti rischia di divenire una minaccia reale, vivendo essi una stagione in cui l’influenzabilità è molto maggiore rispetto ai giovani adulti. Dato l’alto tasso di stranieri di fede islamica, integrati anche da più generazioni, potremmo accomunare tale gangismo, che di fatto è atroce terrorismo, alla Teoria del conflitto culturale di Cohen. Vale a dire che alcuni gruppi etnici favoriscono certe forme di delinquenza, trovandosi in un contesto di tensione mondiale ciò è ancor più vero. Ma il fenomeno riguarda anche gruppi quali i Rom, ove certe condotte illecite, come furti o rapine sono incoraggiati dalla penuria delle attività tipiche attraverso le quali, tali gruppi- che non vogliono aprirsi, gelosi della propria cultura,- trovavano sostentamento, vale a dire chiromanzia e vendita del rame o di altri manufatti in appositi mercati, attività, queste, che oramai non trovano più ragion d’essere né spazio nella società occidentale.

Generazioni dal pugno chiuso

Riguardo le gang politiche, il codice d’onore e quello di condotta sono ben strutturati, ma non prevedono, come nel caso delle culture urbane, la violenza, che diviene accidente non necessario e figlio del travisamento o, ma in casi molto rari, dell’erronea interpretazione di concetti come rivolta o rivoluzione. In tali casi l’atto per eccellenza è di tipo vandalico (danneggiamenti di opere o luoghi pubblici) o, tuttalpiù oltraggioso nei confronti di avversari politici o istituzioni. Raramente si arriva allo scontro diretto violento e, se ciò accade, avviene spesso in luoghi di riunione (manifestazioni) o assumendo la forma di raid punitivo.

Poco hanno a che fare oggigiorno queste gang con il terrorismo rosso o nero degli anni di piombo, ma investendo soprattutto adolescenti figli della crisi ideologia e poi economica possono assumere connotazioni ben gravi ed incontrollabili. Sono le classiche “generazioni dal pugno chiuso” come le chiama impropriamente Galimberti. Ci riferiamo al fenomeno che ha preso il via a partire dalla seconda metà degli anni ’90 raggiungendo il suo apice tra 2006-2007, epoca in cui è stato scritto il volume dell’autore. Giustamente egli nota che costoro, parafrasando, sfidano il sistema sociale non ricevendo più da esso le risposte, le garanzie, di ordine sociale, politico e soprattutto economico.

“Sfida simbolica” al “patto sociale”

I No Global, i collettivi scolastici di ambo i colori, a detta del Galimberti sostituiscono la “sfida simbolica” al “patto sociale”, venendo di fatto a rompere gli equilibri di sistema. Tuttavia tale affermazione è, a Nostro avviso, poco condivisibile, essendo la sfida simbolica un processo fisiologico della evoluzione societaria, ortegianamente parlando. In secondo luogo egli contrappone a tale sfida, a suo avviso nichilista, come alternativa il patto sociale in una ottica di contrattazione tra Stato e generazioni, ottica che è terribilmente privatista e ben poco si sposa con una comunità che sappia leggere gli interessi, le aspirazioni, le potenzialità degli adolescenti, deviati e non.

Tenendo presenti gli studi del De Lalla, Noi non condividiamo tale impostazione privatistica dello Stato, in quanto figlia delle leggi del mercato ed essa stessa causa della sfida. E tutto ciò è avvalorato dalle conseguenze della Grande Recessione con la quale oramai da più di dieci anni abbiamo a che fare.

Il liberismo ha i giorni contati

Ed in tale clima non trova più posto la generazione dal pugno chiuso, dato il proliferare xenofobo e demagogico delle estreme destre, nonché la vacuità contenutistica tra il parruccone ed il nerdismo acritico di movimenti come quello pentastellato, come emerge nella disillusa canzone dei Baustelle “Il liberismo ha i giorni contati”, in cui non è più tempo di rivoluzione ed allora la via porta all’annullamento socio/politico inevitabile, al comporre “poesie sulla inevitabile catastrofe”, è quello che Noi riteniamo lo Stoicismo B in Alternatio, l’accettazione della fine e l’ultimo gorgheggio poetico come forma della rivoluzione, gorgheggio ben diverso dalla speranza di redenzione nelle arti figurative, nella poesia etc., “Le avanguardie erano ok/almeno fino al ‘66”, ma un nullismo pieno ed estraneo al “mondo ostile ad essere conquistato”.

Ed in tale clima hanno fatto ingresso le altre due generazioni di adolescenti di cui parla il Galimberti, che sono assurte a vessillo politico di riferimento, “la generazione x degli indifferenti” e “la generazione q dal basso quoziente intellettivo/emozionale”, ambedue pericolosissime, ed anzi, di più, a Nostro avviso tra loro intersecabili e non insiemi distinti.

Gli indifferenti mirano all’uniformità, al cibernetico, al virtuale

Gli indifferenti mirano all’uniformità, al cibernetico, al virtuale, a programmi di cucina, ad altri in cui vengono esaltati vizi o aberrazioni quali il tradimento, o la “bellezza” della camorra, o altresì si chiudono in giochi di ruolo, su luoghi estranianti quali facebook, instagramm, twitter, comunicando e non esprimendosi, mirano alla droga, al divertimento, al sesso mercificato, mantenendo però talvolta una piena identità seppure frammentata-il Galimberti è eccessivamente poco propositivo ed incompleto nelle sue definizioni- come emerge nella canzone “Charlie fa Surf” [64], in cui si descrive una omologatio della adolescenza bifronte.

Da un lato bravo ragazzo, dall’altro amante del porno virtuale, delle anfetamine, dell’Mdma, ed anche della musica, il doppio senso sulla drum machine delle sigarette e quella della elettronica è fantastico. Galimberti nel descrivere gli indifferenti è ben poco acuto, infatti la canzone riprende e cita la frase con cui si riferiva ai vietcong il militare Kilgolde nel film “Apocalypse Now”, sovvertendola. È un passaggio molto delicato, a tratti mistico ed intriso di misticismo.

Crocifiggetelo/una mazza da baseball quanto bene gli fa

La canzone mostra come le negatività siano imposte dalla società che manda segnali contraddittori al giovane quindicenne, “andare in chiesa/fare sport/prendere pasticche che contengono paroxetina” cui si contrappone il suo mondo fatto di sesso virtuale, fumo, droghe, musica, propinato proprio dalla stessa società che gli comunica codici comportamentali corretti. Ma non solo, la stessa società interviene di nuovo nel punirlo per la sua condotta deviante da essa stessa provocata mandando messaggi ad educatori e genitori “crocifiggetelo/una mazza da baseball quanto bene gli fa”, e concludendo con un laconico e liberal-democristiano “Alleluya Alleluya”.

Ma anche qui la musica e l’arte sono la via di redenzione perché Charlie fa surf, è un vietcong occidentale che pur obbedendo pronuncia con “strafottenza”, vive la sua alternatività fregandosene del resto, della società/ tenente colonnello Kilgolde che gli propone i vizi, gli propone come comportarsi, lo punisce per ciò che gli propone. L’inquisizione laica qui non l’ha vinta, ma tristemente non l’ha vinta per pochi attimi evasivi, ma, in definitiva, Charlie, falso alternativo è vero alternativo nella sua consapevolezza di tale contraddizione, e forse è l’unico ad accorgersi, da adolescente, che il disagio è creato dallo stesso genus che pretende di riabilitarlo/curarlo.

Potenziali sociopatici o psicopatici

Tornando a Noi, quelli dal basso e sono, per Galimberti, potenziali sociopatici o psicopatici, spesso lupi solitari di movimenti estremisti quali lo Stato Islamico di cui abbiamo parlato, o altresì folli che sparano nei college americani. L’intersezione tra i due insiemi è larga parte della cibernetica adolescenza nostrana, alberga tutto tranne che l’amore, ci si affilia a movimenti discutibili ed orwelliani o, peggio, ad azioni violente.

Queste stesse generazioni d’intersezione sono poi quelle che fanno parte del terzo tipo di gang, quello di affiliazione mafiosa, sempre perché attratti dal guadagno facile o dal possedere persone, fisicamente, psicologicamente, sessualmente –dimenticando che a Nostro avviso si possiedono solo cose morte-. Il gangismo mafioso è una via, quella che Cohen definisce Teoria dei mezzi illeciti.

Il credo ideologico distintivo

L’invidia sociale, verso questa società di arrivisti, consumista, in cui vale il binomio vincente-ricco/promiscuo/potente, quivi, spinge gli adolescenti a trovare spazio fertile su cui estrinsecare la loro rabbia verso “il mondo ostile ad essere conquistato” ed anche la loro cupidigia e lussuria –non propriamente loro ma a loro insegnata da genitori, educatori e mass media come stiamo dicendo e sostenendo ampiamente- ed in più trovano una protezione ed una legittimazione “sociale”, appartenendo a gruppi organizzati. In questi casi il credo ideologico distintivo non è detto che venga assorbito o condiviso, forse neanche capito, ma ciò che a questi ragazzi interessa è il raggiungimento dei benefici che il loro status di affiliati comporta.

Tuttavia il disagio forte alberga anche negli adolescenti che scelgono –scelta?- questa vita, e forse anzi sicuramente è ancora più forte di quello che porta alla via del terrorismo. Ed è più forte in questi ultimi anni ove l’affiliazione alla malavita non ha più regole, seppure discutibili, ma è in balia del nichilismo fine a sé, ed i giovani non si limitano allo spaccio, ma compiono azioni alla stregua del Branco, rendendo, a Nostro avviso, difficile che in un futuro i due fenomeni possano essere distinti e che si cada in tale clima di totale anarchia apropositiva.

Sesso col revolver

Esemplare la canzone Revolver in cui la darklady affiliata alla malavita su una base musicale quasi mistica ci mostra di come faccia “sesso col revolver” e di quanto il contesto malavitoso in cui si trova poco o nulla ha a che fare col semplice spaccio.

Ed è un flusso in cui ci mostra le sue non emozioni, la sua violenza che non è mossa neanche più da rabbia ma da annullamento emotivo, da quello che noi definiamo Stoicismo B in Alternatio, il cuore l’ha lasciato “Morto/ marcio/violentanto”, non sente che freddo non vive che disincanto, persino la scelta della droga “coca/ero/fa lo stesso” non è una via di fuga dalla realtà ma un’accettazione tacita della realtà stessa vacua, e dove solo in lontananza si sente la presenza di un amore, come una eco, musicale su canto apatico e straziante, un amore finito, la perdita del senso stesso dell’amore, l’indifferenza con cui uccide senza provare pentimento né senso di colpa, e la sua vendetta è persino dedicata a quell’amore finito, quell’amore che non tornerà, quell’amore che nemmeno la società, la comunità o la malavita stessa potrà dargli, non più, o forse mai. A quel sogno d’amore è dedicata la sua vendetta.

Il fenomeno del bullismo e quello del cyberbullismo

Sotto il vessillo di tale disagio ed a sommatoria di esso, come se fosse una terribile sintesi, si colloca il fenomeno del Bullismo e quello del Cyberbullismo, cui occorre soffermarsi un attimo per tracciare qualche riflessione. In prima istanza i bulli ed i cyberbulli non hanno codici, né di condotta né d’onore, sono condotte reiterate nel tempo e contro una sola determinata persona. Altra caratteristica è l’asimmetria del rapporto, vale a dire che tra bullo e vittima non c’è un rapporto paritario ma il bullo si trova in una situazione di superiorità rispetto alla vittima.

Egli agisce da solo, con pochi gregari e avvalendosi della collaborazione degli spettatori, che sono terzi estranei al rapporto violento ma che tacciono, assistono e persino si divertono degli atti vessatori. Ove il fenomeno coinvolga più gregari, non è a Nostro avviso bullismo ma fenomeno detto del “Branco”, di cui abbiamo posto in essere qualche cenno supra. Ciò mostra come la categoria bullismo sia in realtà una zona franca, ed al di là di tutto, forse, l’unico elemento che lo distingue dalle altre forme di violenza adolescenziale verso gli altri-persone o beni- è la reiterazione nel tempo, anche ciò con debite distinzioni perché anche fenomeni di gangismo politico o religioso possono essere reiterati nel tempo.

Il gangismo colorato

L’aspetto però centrale del bullismo, come del cyberbullismo, è che la vittima non è scelta a caso, e nemmeno è caratterizzata, come per il gangismo colorato, da una diversità di vedute socio/politico/religiose, né è una istituzione, ma all’apparenza una persona normale, che però viene ad essere, a Nostro avviso, del tutto simile al bullo, quanto a personalità. Il bullo mai sceglie a caso scegliendo casualmente. Nel bullismo, come mai in altre forme di violenza, il rapporto d’amore nei confronti della vittima è quanto mai marcato.

Gli spettatori degli atti di bullismo o sono ignavi per paura, ed in tal caso assistono anche divertendosi, a Nostro avviso proprio per mostrare il loro senso di estraneità alla vittima, il dire “meno male che non sono come lei”, un po’ come il fariseo ed il pubblicano (Luca 18/ 9-14), e quindi allo stesso tempo per celare ciò che della vittima alberga nel loro essere; oppure tacciono e si divertono per paura, ed in tal caso parliamo di paura manifesta, sono consci di poter divenire a loro volta vittime e quindi di essere come la vittima. A queste due categorie se ne può aggiungere una terza, gli indifferenti, estranei alla vicenda, si tratta di una figura rara tra gli spettatori, caratterizzata da basso Q intellettivo ed emozionale, potenziali sociopatici o psicopatici. Costoro, infatti, li ritroviamo più spesso dalla parte del bullo o dalla parte della vittima.

Il rapporto contrastante tra vittima e carnefice

Sorge all’uopo necessaria, quindi, una descrizione del bullo, ovverosia delle sue caratteristiche comportamentali, sociali e psicologiche. Il Meluzzi, a cui ci rifacciamo nel trattare la tematica, ben analizza la figura del bullo e quella della vittima. Rifacendosi a Besang individua tre tipi di bullo: il “bullo vittima”, che in passato ha egli stesso assunto il ruolo di vittima, spesso in età preadolescenziale, e per questo spesso alterna anche i ruoli, talora è vittima e talora è bullo. Comportamento tipico, questo, di chi vuole salire nella scala, dell’arrivismo, e notiamo quanta affinità ci sia, a Nostro avviso, con la società contemporanea ed i valori che essa propina.

C’è poi il bullo provocatore, che ha problemi nel gestire la propria emotività e l’unico modo con cui riesce ad interagire è mostrando la propria aggressività. Ci ricorda questo profilo quello delineato dal Galimberti nel descrivere le generazioni dal basso Q intellettivo ed emotivo. Ovviamente analisi, questa del Galimberti, che poco ci dice sulla fonte del disagio, disagio che anche in questo caso viene a caratterizzarsi come una forma d’amore non verso un soggetto specifico ma verso l’umanità tutta, un po’ come l’assassino di Sgalambro ed un po’ anche come ci ricorda il ritornello della canzone baustelliana “Un romantico a Milano” in cui si canta “Io vi amo/ via amo ma vi odio però/ vi amo tutti/ è bello o brutto io non lo so” verso in cui, a Nostro avviso, si coglie in toto il disagio dovuto alla mancata identificazione del bene e del male, al rapporto contrastante tra vittima e carnefice.

Il bullo ansioso

Figura analoga per certi versi è quella del “bullo ansioso”, che non riesce a raggiungere lo status dei pari, e prova una invidia verso gli stessi, invidia che lo porta ad estrinsecare verso gli altri la rabbia. Tali categorie di bulli, hanno una potenziale pericolosità, in età adulta o anche nella età stessa in cui agiscono, di affiliarsi ad estremismi terroristici o alla malavita. Sono purtroppo vittime della società che propina modelli, li censura e poi li punisce. E qui sbaglia il Meluzzi quando ritiene che il bullismo si basa su una concezione asimmetrica ove vige la legge del più forte a differenza della società in cui viviamo. La società in cui viviamo è basata sulle mercantilistiche leggi del più forte ed il diritto sempre più sottomesso all’economia, ed il successo alla ricchezza, al sesso ed al potere, ed il merito figlio dell’arrivismo e del rampantismo. La via di fuga non artistica, in tale quadro, è la delinquenza.

Per quanto concerne le vittime sempre il Meluzzi, accanto ai profili dei bulli, le divide in “vittime passive”, che semplicemente non reagiscono. Capiamo bene il peso che tale tipologia si porta dentro e che può compromettere l’intera sua esistenza, portandosi dentro quel clima di terrore che riverbera poi su quello che Noi definiamo “il mondo ostile ad essere conquistato”. In tal caso c’è anche il rischio di sviluppare psicosi, quali schizofrenia e paranoia, o di converso psicopatie. Abbiamo poi le “vittime collusive” che accettano la loro condizione per non uscire dal gruppo dei pari.

La coscienza del compromesso

A Nostro avviso la vittima collusiva adolescente è metafora pregnante dei componenti adulti o giovani adulti di tale epoca e di questa società, coloro che scendono a compromessi ed accettano tacitamente ma non stoicamente, accettano di collocarsi tra l’hobbesiano “homo homini lupus” e spesso la loro non è rassegnazione ma addirittura “piacere del compromesso”. Pensare al proprio orticello, qualunquisticamente, tanto poi, lampedusianamente “tutto cambierà affinché tutto resti com’era”. Manca l’alternatio, manca la ribellione, è una triste zona silenziosa ed apatica in cui la felicità per la propria apatia la occulta.

Sono coloro che assumeranno la coscienza del compromesso, gli stazionari, coloro che si bloccano e bloccano l’evoluzione umana. Ci sono, ancora le “vittime provocatrici”, anch’esse potenziali bulli o addirittura, più spesso, isterici, aggressivi ed ansiosi che provocano gli altri solo per ingenerare tensioni. Ed analogamente i “falsi bulli”, bisognevoli di attenzione e che inventano di sana pianta il fenomeno. Tale categoria rientrerebbe meglio nella categorizzazione delle tipologie di bullo. Ma ricordiamo, tra l’altro, che il limite tra bullo e vittima è in ogni caso una linea bianca, ingenerata dal disagio.

Il bullismo può essere psicologico, verbale o fisi

Il bullismo può essere psicologico, verbale o fisi. Porta all’esclusione dell’altro dal gruppo senza esercitare alcuna violenza fisica. Esso era tipico del bullismo al femminile, ma con la parificazione dei generi si è diffuso anche tra i maschi come quello fisico è sempre più diffuso tra le ragazze. Bullismo psicologico e stalking hanno diversi punti di contatto. Il bullismo verbale non si limita ad ingiurie, oltraggi contro la vittima ma soprattutto all’inciucio inautentico heideggeriano, al chiacchiericcio da comare, alla calunnia ed alla diffamazione, infamia talora forse peggiore della fisica. La violenza fisica, invece, è caratterizzata da lesioni, danneggiamenti a beni della vittima, percosse, sino alla violenza carnale ed all’omicidio.

La Canzone del Riformatorio

Con riferimento al rapporto tra attaccamento e percezione dell’Io e più nello specifico connessione con disagio e dunque devianza/criminalità, rimandiamo alle riflessioni su Bowlby fatte supra ad inizio del primo paragrafo di questo capitolo. Interessante, risulta invece, analizzare due canzoni baustelliane, esemplificative dell’esperienza del bullo, ma più in generale del deviante adolescente, di fronte alla violenza carnale da egli perpetrata nell’un caso, nell’altro del bullo/deviante/cresciu. La prima è “La Canzone del Riformatorio”, narra in maniera limpida e perfetta il flusso coscienziale di un giovanissimo, probabilmente della prima adolescenza, ad un anno dalla “reclusione” in un riformatorio a seguito della violenza posta in essere nei confronti di una compagna di scuola, tale Virginia.

Una vera e propria dedica” Questa è per quando/ti ho fatto male” lui sotto effetto di alcolici andati a male e di benzedrina” , sconvolto dall’”umidità” puberale ed incapace di relazionarsi, violenta la compagna di scuola. È esemplificativo come vi sia un annullamento emotivo “sono quello che non ride mai/nella tua scuola”, come ci sia la necessità di prendere ciò che la società gli propina come giusto, buono, necessario, il sesso, il potere, “e dolcemente/ ti ho regalato/la mia violenza/il mio attimo di gloria”.

Mi perdonerai Virginia

Ma l’aspetto più interessante è che, ad un anno dai fatti, chiuso in un istituto, comprende che quello che provava era amore, puro amore, nulla a che vedere col sesso mercificato, e lui per mostrarlo si era adeguato a ciò che la società gli propinava, “mi perdonerai Virginia/ e adesso mi manchi te lo giuro/le sogno la notte le tue grida” e soprattutto, amore vs ideali che ci propina la società “le tue cosce bianche stonano/sopra le donnine pornografiche/appese dagli altri custoditi qui/con me”.

E la canzone termina con una laconica e consapevole critica al tempo ed alla società “amore tra cinque anni dove andrò/e tu chi sarai e chi saremo noi/ fuori dal riformatorio/le vite perdute come gioia/passata per sempre come moda” e soprattutto” cos’è che ci rende prigionieri?”.

Avevo fame di storie

Da ciò ci colleghiamo alla “Canzone di Alain Delon”, bullo o deviato adolescente oramai giovane adulto in cui il filtro della memoria lo riporta ad un amore originario ed adolescenziale, al suo modo di porsi nei confronti dello stesso e del mondo, con violenza ma allo stesso tempo con la dolcezza-già allora-nostalgica della alternatività, dell’altissimo senso estetico “io già nel ’96/avevo fame di storie” ed ancora “L’unica cosa che ho è la bellezza del mondo/la sola cosa che so è che vorrei conservarla/per me”, seguito più in là da un “L’unica cosa che ho/è lo squallore del mondo/la sola cosa che so è che vorrei conservarlo” lui che imitava il celebre attore francese, spietato amante e spietato contro il mondo, ma con una nostalgica alternatio, con uno stile décadent unico, con una dolcezza d’infinito.

Eccolo con i suoi sogni in frantumi, nella nuovissima società, ecco che i sogni di adolescenti svaniscono con l’avanzare della società che corrompe e punisce, ma soprattutto fa il lavaggio del cervello per uniformare tutti alle sue logiche “ma sono diverso/sono sporco/avevo torto marcio/tu piangevi”.

Violenza psicologica e vessazioni continue

In una società cibernetica non poteva certo mancare il bullismo telematico, caratterizzato da violenza psicologica e da vessazioni continue quali il Flaming (diffusone di messaggi provocatori in blog, tag, social) il Fake, ovverosia il creare falsi profili, che può sfociare in furto d’identità, l’Outing (ovverosia la diffusione di immagini private, anche pornografiche, confidenze, video della vittima), tutte condotte che configurano il fenomeno del cyberstalking, allo scopo di infamare la vittima o provocarla.

Il fenomeno del cyberbullismo può avere effetti ancora più devastanti del bullismo sic et simplicer, dato che gli effetti sono amplificati dal mezzo di comunicazione di massa, ed il web consente al bullo telematico di avere un pubblico di spettatori amplissimo, cosa che amplifica a dismisura il suo ego ed il suo narcisismo, spesso patologico. A ciò si aggiunga che il processo di colpevolizzazione nel bullo è ridotto quasi a zero e la sua forza potenziata dal coprirsi dietro uno schermo.

Indifeso e non protetto dalla società

Esistono diverse tipologie di cyberbulli. La prima è quella dell’”angelo vendicatore”, che è colui che, sentendo-a torto o a ragione- di aver subito un torto nella vita reale si vendica, attraverso le condotte sopra riportate, nello spazio telematico, spesso rimanendo anonimo. Ciò demarca una disagio forte del soggetto, che spesso è vittima del bullismo tradizionale, sentendosi indifeso e non protetto dalla società, dalle istituzioni, dagli educatori, dai familiari, o vergognandosi pensando di essere debole riceve la propria dose di forza, la sua piccola porzione di vendetta- in una società che esalta il ricorso alla vendetta- nel web.

C’è poi “l’avido di potere”, un cyberbullo che, a differenza degli altri, non sceglie l’anonimato, ma si vanta e vuole farsi vedere, si vanta del suo potere, crea ad esempio gruppi su facebook che minano la dignità altrui facendosi amministratore, cera consensi. In età adulta, a Nostro a vita, e rebus sic stantibus-se non addirittura peggiora- la società questo tipo di bullo diverrà il classico uomo d’affari o il classico truffatore o politico, difficilmente invece, riteniamo, finirà nelle maglie della malavita da protagonista, se mai dovrebbe finirci svolgerebbe funzioni infime o gregarie, in quanto la sua ricerca di consenso ha necessario bisogno di appoggio e protezione da parte di forze maggiori ed esterne.

I ragazzi del cavalcavia che lanciano sassi

Il cyberbullo “per noia” è il classico esempio di adolescente nichilista in senso negativo, quello che Galimberti tratteggia facendone un leitmotiv nella sua opera facendolo assurgere ad emblema- a torto a nostro avviso- di tutta la generazione attuale. Si annoia e come i ragazzi del cavalcavia che lanciano sassi sulle autovetture provocando incidenti, allo stesso modo mina e distrugge la dignità della vittima. Abbiamo infine il cyberbullo “involontario” che non si rende conto della gravità delle azioni da lui compiute e, quando ne capisce la reale portata, si pente di ciò che ha fatto.

Sia chiaro che in questa classificazione il Meluzzi parla dell’involontario reattivo, che è un po’ come chi aggredisce d’impeto. E quindi si pente non solo più facilmente ma addirittura egli stesso può rendersi conto, col senno di poi, della dannosità dell’atto compiuto. Potenzialmente, infatti, tutti gli altri bulli, telematici e non, potenzialmente si possono pentire se si riesce a fargli capire il danno compiuto. Ma in tali territori è comunque meglio cercare di agire sul piano preventivo, in una società malata, contraddittoria, ambivalente, che istiga alla vendetta ed invita al successo non sempre è facile riuscire a far comprendere la portata della sua azione, se non con una rivoluzione radicale del sistema educativo e delle istituzioni.

Giovanni Di Rubba

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