Sandokan torna al 41bis, sua collaborazione inefficace

La notizia del "pentimento", in alcuni ambienti accolta con perplessità, aveva fatto sperare che il boss custodisse ancora segreti e informazioni utili

La Procura di Napoli ha deciso di interrompere il percorso di collaborazione avviato pochi mesi fa dall’ex capoclan dei Casalesi FrancescoSandocanSchiavone. Gli inquirenti hanno deciso di revocare il programma di protezione cui era stato sottoposto, ritenendo che le dichiarazioni finora rilasciate da Schiavone non fossero utili.

È durata solo pochi mesi la collaborazione con la giustizia del capo del clan dei Casalesi, il più noto tra i boss della mafia campana soprannominato Sandokan per via della somiglianza con la “tigre della Malesia” interpretata da Kabir Bedi in tv.

I pm anticamorra coordinati dal Procuratore Nicola Gratteri hanno poi chiesto il via libera dal Ministero della Giustizia, che ha disposto per Sandokan il ritorno alla detenzione in regime di 41 bis.

Un pentimento che doveva svelare gli intrecci della criminalità con la politica

La notizia del “pentimento”, in alcuni ambienti accolta con perplessità, aveva fatto sperare che il boss custodisse ancora segreti e informazioni utili. Dal “carcere duro” si può comandare, come dimostra l’indagine della Dda di Napoli sul clan Contini, e così si era sperato che il capo della federazione malavitosa casalese potesse contribuire a far luce su omicidi irrisolti o parzialmente risolti, casi di lupara bianca e misteri come quello che ammanta ancora la morte del fondatore del clan Antonio Bardellino. Più appetitosi apparivano gli intrecci tra camorra e politica che per anni hanno condizionato il Casertano e non solo.

Un pentimento inefficace forse legato a quanto sta accadendo nella “sua” Casal di Principe

Sandokan – hanno ricostruito inchieste e processi come “Spartacus” – godeva di appoggi politici di alto livello; condizionava elezioni e appalti pubblici. Ed è rimasto forte anche dopo il pentimento, nel 1993, di suo cugino Carmine Schiavone. Eppure il contributo sulle pagine nere scritte dalla camorra è apparso irrilevante. Forse per sua stessa volontà. C’è chi pensa che l’inefficacia della sua collaborazione possa essere legata a quanto è accaduto di recente nella “sua” Casal di Principe teatro di rigurgiti camorristici legati alla mancanza di leadership criminale. Una guerra che vede coinvolto uno dei suoi figli, Emanuele Libero, scarcerato nell’aprile scorso, proprio pochi giorni dopo l’inizio del “pentimento” del padre.

Il sesto figlio di Sandokan è stato arrestato qualche settimana fa con un altro “figlio d’arte”, Francesco Reccia (il padre Oreste è tuttora al 41bis) con il quale stava cercando di riorganizzare la cosca mafiosa. Uscito di cella, lo scorso aprile, Emanuele si è precipitato a Casale manifestando subito una netta contrapposizione con la scelta paterna; è tornato in via Bologna, nella porzione della tenuta di famiglia non confiscata, per riaffermare senza equivoci la sua presenza sul territorio. Ma mettendosi anche contro qualcuno che nel frattempo aveva occupato lo spazio criminale lasciato libero.

E così, l’8 giugno scorso, decine di colpi di mitraglietta e pistola sono stati esplosi in piazza Mercato a Casal di Principe e poi contro il portone della sua casa; l’11 giugno anche contro la casa di Reccia. E i due sono stati arrestati. Ancora ignoti gli autori degli agguati ma di certo la fibrillazione criminale e i rischi a cui appare esposto il figlio del capoclan potrebbero aver condizionato in qualche modo la collaborazione del padre.

La storia di Francesco “Sandokan” Schiavone, capo feroce con contatti con “Cosa Nostra”

Francesco Schiavone: da autista e guardia spalle di Umberto Ammaturo a boss assoluto del clan di camorra dei Casalesi. Francesco Schiavone venne arrestato per la prima volta a 18 anni: nei suoi confronti un’accusa di possesso illegale di armi da fuoco. Vicino ad Antonio Bardellino e Mario Iovine sostenne la Nuova Famiglia nella guerra contro la Nco di Raffaele Cutolo.

Dopo il declino del “professore di vesuviano” scoppiò una faida tra gli Schiavone e i De Falco: Vincenzo De Falco trovò la morte in un agguato il 2 febbraio del 1991 a Casal di Principe. Schiavone fu arrestato l’11 luglio del 1998: non bastò la custodia a lenire la determinazione del ras che nello stesso periodo di detenzione grazie all’estensione e alla ferocia dei suoi affiliati riuscì a sconfiggere definitivamente il clan De Falco. Francesco Schiavone ricevette l’investitura a capo indiscusso del clan dei Casalesi dopo l’omicidio di Mario Iovine avvenuto il 6 marzo del 1991 in Portogallo.

Detenuto al regime carcerario speciale (41 bis) Schiavone incarna la figura del boss spietato e profondo al tempo stesso, amante della lettura e della pittura ma pronto a comandare raid di inaudita ferocia pur di imporsi criminalmente parlando sul territorio. Il re di Casal di Principe: così viene definito ancora oggi Sandokan (pseudonimo di Schiavone derivante da una vaga somiglianza con l’attore Karin Bedi), il boss capace di creare un impero economico basato sul traffico di stupefacenti, racket, contrabbando, controllo della prostituzione, riciclando il denaro sporco in attività imprenditoriali sparse in tutto il mondo.

Si parlerebbe di catene di ristoranti, grossi centri per la vendita di prodotti caseari, night, pub e bar di lusso, società di servizi, finanziarie e imprese edili intestate ad insospettabili prestanome e professionisti della Caserta bene e del basso Lazio. Un uomo talmente potente da stringere rapporti costanti con Cosa Nostra, da disporre di un esercito di affiliati dal modus operandi oltremodo violento. Schiavone ha portato progressivamente il clan dei Casalesi ad essere il più temuto tra gli agguerriti sodalizi criminali della camorra: un gruppo talmente potente da avere ramificazioni nella pubblica amministrazione, nella politica, nella grossa impresa, senza contare le complicità con i cattivi servitori dello Stato (cosiddetti infedeli delle forze dell’ordine).

Un boss che non ha mai temuto alcun rivale, che ha più volte sbeffeggiato lo scrittore Roberto Saviano che si era dettagliatamente occupato nei suoi scritti degli affari illeciti del clan: mai alla ricerca del clamore mediatico ma anzi riservatissimo, di poche parole ma dal carisma ipnotico nei confronti di una parte dei giovani di Casal di Principe pronti a tatuarsi l’effige del boss sul corpo in segno di assoluta fedeltà (alcuni collaboratori di giustizia parlerebbero di un tatuaggio sulle braccia raffigurante una tigre ruggente). Francesco Schiavone: il numero uno dei casalesi mai pentito né dissociato dalla camorra nonostante il duro regime carcerario a cui da tempo è sottoposto e il fascicolo giudiziario personale che recita “fine pena mai”.

La svolta e il pentimento appena qualche mese fa

Poi la svolta a marzo scorso. Dopo 26 anni di prigione, Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”, capo indiscusso del clan dei Casalesi, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una svolta senza precedenti che potrebbe portare a importanti sviluppi nella lotta contro la camorra e nel contrasto alla criminalità organizzata in Campania.

Schiavone collaboratore con la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, poteva rappresentare un punto di svolta nella lotta contro la criminalità organizzata. Oggi la decisione della procura che lo rimanda al 41 bis.

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