Estorsioni ed usura: 58 anni di carcere per il clan Cesarano

Si è chiuso ieri dinanzi al gip del tribunale di Napoli il primo filone del nuovo processo al clan Cesarano, che avrebbe messo le mani anche sul porto turistico di Marina di Stabia attraverso società di noleggio barche, gestendo il “classico” pizzo su edilizia e attività commerciali nella periferia tra Castellammare e Pompei, come ricostruito nel corso delle indagini condotte dai carabinieri della Compagnia stabiese e coordinate dalla Dda di Napoli con il pm Giuseppe Cimmarotta.

Una sentenza di grande impatto contro sette imputati accusati di aver gestito le attività criminali del clan Cesarano durante la pandemia di Covid-19.

Gli imputati sono stati condannati complessivamente a cinquantotto anni di carcere per reati legati a estorsioni e prestiti a usura, commessi ai danni di imprenditori e famiglie nella periferia nord di Castellammare di Stabia. Estorsioni imposte anche al cugino del boss dei Van Gogh Raffaele Imperiale.

L’indagine, denominata “Vichinghi bis“, ha avuto origine dal pestaggio di un ex autista del boss Luigi Di Martino avvenuto nel 2018 in via Annunziatella. Questo evento ha innescato un’inchiesta approfondita da parte dei carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, portando all’arresto di diversi capi e gregari del gruppo criminale. La prima fase dell’indagine ha rivelato il nuovo assetto della cosca di Ponte Persica, che si era progressivamente staccata dal clan Cesarano.

I protagonisti e le condanne

Tra i condannati spicca Vincenzo Cesarano, alias ‘o mussone, che ha ricevuto una condanna a 10 anni di carcere. Considerato uno dei leader del clan, Cesarano aveva il compito di gestire la cassa del gruppo, una responsabilità che ha creato dissapori all’interno dell’organizzazione. La pena più alta è stata inflitta a Luigi Belviso, che ha ricevuto 12 anni di reclusione: secondo l’accusa stava tentando la scalata alla cosca di Ponte Persica. È stato assolto invece dall’accusa di rapina ai danni del figlio del sindaco di Pompei, Carmine Lo Sapio.

Raffaele Belviso, fratello di Luigi e già detenuto, ha ricevuto una condanna di 10 anni e 4 mesi per il suo ruolo di supporto nella gestione del clan dal carcere. Andrea Bambace è stato condannato a 8 anni di reclusione, mentre Francesco Corbelli (nato nel 1960) ha ricevuto una pena di 6 anni. Bartolomeo Langellotto e Francesco Corbelli (nato nel 1988), autista dei Belviso, sono stati entrambi condannati a 5 anni e 8 mesi di reclusione.

Il processo e le prove

Il processo si è svolto con il rito abbreviato, una scelta che ha permesso di ridurre i tempi della procedura. Altri 5 imputati a giudizio con rito ordinario. Il collegio difensivo, composto dagli avvocati Antonio Cesarano, Giuliano Sorrentino, Renato D’Antuono, Mariano Morelli, Francesco Romano, Sergio Cola e Stefano Sorrentino, ha ora la possibilità di presentare ricorso in Appello.

Le prove contro gli imputati sono state raccolte attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno rivelato come il clan stesse organizzando attività estorsive per sostenere gli affiliati liberi e quelli detenuti. Una svolta cruciale nelle indagini è avvenuta il 20 febbraio 2020, quando i carabinieri hanno fatto irruzione in un’autorimessa nel rione Petraro, dove era in corso un summit di camorra. Sebbene i partecipanti siano riusciti a fuggire, le telecamere di sorveglianza hanno identificato Vincenzo Cesarano, Luigi Belviso, Raffaele Polito e Silverio Onorato come presenti all’incontro.

Le dinamiche Interne al clan

La gestione della cassa del clan da parte di Vincenzo Cesarano non era condivisa da tutti gli affiliati. Luigi Belviso, in particolare, aveva espresso insoddisfazione per il trattamento riservato ai detenuti di lungo corso, come Michele Onorato, alias ‘o pimontese. Belviso ha cercato e ottenuto maggiore autonomia nella gestione del clan attraverso l’intermediazione di Giovanni Cafiero, genero del boss Gaetano Cesarano.

Questa sentenza rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro la criminalità organizzata nella regione, dimostrando l’efficacia delle indagini coordinate tra la magistratura e le forze dell’ordine. Il caso ha messo ulteriormente in luce non solo le attività illecite del clan Cesarano, ma anche le complesse dinamiche interne alla cosca, segnando un momento importante nella storia della lotta alla camorra.

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano
Condividi
PrecedenteSant’Antonio Abate, il Comune riconosce premi economici a 107 alunni meritevoli
SuccessivoColpo da novanta per l’Amalfi Coast Sambuco: Enrico Fetta dice sì e sposa il progetto del team di De Luise
Il giornale “il Gazzettino vesuviano”, fondato nel 1971 da Pasquale Cirillo e attualmente diretto da Gennaro Cirillo, si interessa principalmente delle tematiche legate al territorio vesuviano e campano; dalla politica locale e regionale, a quella cultura che fonda le proprie radici nelle tradizioni ed è alla base delle tante associazioni e realtà che operano sul territorio.Siamo impegnati a garantire la massima qualità e la massima integrità nel nostro lavoro giornalistico. Ci impegniamo a mantenere alti standard etici e professionali, evitando qualsiasi conflitto di interesse che possa compromettere la nostra indipendenza e la nostra imparzialità.Il nostro obiettivo è quello di fornire ai nostri lettori notizie e informazioni affidabili su una vasta gamma di argomenti, dalle notizie di attualità ai reportage approfonditi, dalle recensioni ai commenti e alle opinioni. Siamo aperti a suggerimenti e proposte dai nostri lettori, e ci impegniamo a mantenere un dialogo aperto e costruttivo con la nostra community.