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La polizia nell’Antico Egitto, tra guardie di frontiera e vigilanti interni

La polizia nell’Antico Egitto, tra guardie di frontiera e vigilanti interni

Durante tutto il periodo delle dinastie egizie non si ebbe un unico corpo di polizia, ma differenti, spesso usati come guardie e così nominate e con mansioni che durarono nel tempo.

Unica eccezione per la polizia di frontiera.

I faraoni, infatti, disponevano di contingenti armati preposti al controllo delle zone di frontiera al fine di difendere militarmente il territorio, ma anche impedire l’ingresso agli stranieri In particolar guisa in Nubia, dove venne edificata tutta una serie di fortezze lungo il Nilo che proibiva l’attraversamento a qualsiasi Nubiano salvo i mercanti.

Dal primo periodo vi erano poi incursioni dal settore occidentale e fu istituita la polizia del deserto. Gli esponenti di tale corpo, detti nw-w, sorvegliavano i movimenti dei beduini e proteggevano le carovane, accompagnati da feroci cani addestrati per la ricerca di persone.

Nel Nuovo Regno si assiste allo sviluppo di una nuova e rivoluzionaria unità d’élite della polizia interna: i medjay. Il loro nome deriva da quello della regione nubiana della Medja, di cui erano originari.

Nel corso dell’Antico e del Medio Regno essi erano semplici nomadi pressoché ostili agli egizi; durante la XIII dinastia si stanziarono perlopiù a sud della seconda cateratta e all’inizio.

Il loro apporto alla cacciata dei “capi dei Paesi stranieri”, gli hyksos, fu così determinante che i medjay divennero una forza speciale di polizia paramilitare.

Oltre a controllare il deserto a occidente di Tebe, come polizia di frontiera, essi dovevano sorvegliare le necropoli reali, per contrastare i frequenti tentativi di furto negli ipogei, e altre zone di particolare rilevanza per il sovrano e ancora erano tenuti inoltre a garantire la sicurezza degli operai, ma anche che la loro condotta fosse conforme alle regole.

Ritornando alla polizia con compiti essenzialmente interni potremmo considerare Capo della Polizia il ṯaty/visir che era anche “Ministro dell’Interno”-a capo delle varie polizie e degli “Ministro degli Esteri”, a capo della polizia di frontiera

A lui competeva la responsabilità dei rapporti con i nomarchi, ovvero i governatori delle provincie in cui era suddiviso l’Egitto antico; competevano ancora al visir il reclutamento militare e della polizia; il censimento della popolazione e dei beni da sottoporre a tassazione; le spartizioni territoriali e il ripristino dei confini delle proprietà resi di difficile individuazione dopo le inondazioni annuali; il comando della polizia; la supervisione sulle corporazioni dei lavoratori; il ricevimento delle delegazioni straniere, come peraltro dimostrato anche dalle molte rappresentazioni parietali delle Tombe dei Nobili della Necropoli di Tebe.

Per diffondere le sue disposizioni, si avvaleva di una sorta di poliziotti, gli uput, suoi veri e propri emissari e ispettori per i territori più lontani.

Da “Ministro della Giustizia” presiedeva la corte Suprema e diversi Consigli dei Funzionari.

In qualità di “Direttore delle Finanze”, riceveva ogni mattina il “Custode dei Sigilli” che gli rendicontava la gestione del tesoro e dei tributi, anche provenienti dai Paesi vassalli o con cui, comunque, l’Egitto aveva rapporti economici, ricevuti.

Dato il potere, le enormi responsabilità e il rigido protocollo che doveva sempre seguire, era considerato “sapiente tra i sapienti” e, specie nell’Antico Regno, veniva scelto tra i parenti più prossimi del regnante, durante il Nuovo Regno la possibilità di potersi candidare si estese anche ai funzionari che si fossero dimostrati particolarmente dotati.

L’ordine e la sicurezza pubblica erano affidati a funzionari stipendiati messi a guardia di luoghi strategici, tra tutti il caso del villaggio operaio di Deir el-Medina, nei pressi di Tebe, dove risiedevano i costruttori delle tombe reali, all’ingresso dei laboratori degli artigiani.

A corte, i sovrani erano protetti da una sorta di pretoriani, mentre la difesa dell’harem, ove vi erano donne e bambini, era affidata a degli eunuchi.

Altro corpo una sorta di guardia di finanza, al servizio del faraone ed incaricata di scortare gli addetti alla riscossione dei tributi quando, ogni due anni, eseguivano in tutto il Regno il cosiddetto “censimento del bestiame”.

Con modi non del tutto urbani, a suon di fruste e bastonate, le guardie costringevano i contadini a dichiarare i loro proventi agli scribi esattori e punivano severamente chi si rifiutava o non poteva pagare poiché l’annata non era stata delle migliori.

Nei villaggi esisteva anche una sorta di polizia locale deputata a mantenere l’ordine nei giorni di mercato. Tali guardie si avvalevano di uno strumento d’intimidazione davvero inusuale, utilizzando dei babbuini come scimmie poliziotto che si avventavano sul malcapitato afferrandolo per le gambe e scippandolo e ferendolo.

Giovanni Di Rubba

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