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Il Cilento, l’altra costiera

Il Cilento, l'altra costiera

Uno scrigno di tesori e di cultura, il Cilento. Territorio ambito dai grandi viaggiatori di ogni epoca e nazionalità, da Goethe fino ad Ancel Keys, il nutrizionista americano che, nei primi anni Sessanta del Novecento, vi si trasferì, codificando, con i suoi studi sull’alimentazione, la dieta mediterranea.

Mare cristallino, spiagge, grotte, scogliere, ma anche borghi ricchi di vita, paesi fantasma dove riecheggiano leggende senza tempo e sentieri naturalistici che attraversano il Parco del Vallo di Diano e dei Monti Alburni, il secondo parco protetto più grande d’Italia, dichiarato Patrimonio dell’Unesco dalla fine degli anni Novanta.

Per non parlare dell’area archeologica di Velia, antica città della Magna Grecia, fondata nel 540 a.C. dagli esuli turchi in fuga dalla madrepatria per sfuggire all’assedio dei persiani, e approdati nella baia a sud del Golfo di Poseidonia, sulla costa del Cilento, dando vita a una città più simile al borgo di un paese moderno che non a una metropoli coloniale greca del Sud Italia. I resti degli insediamenti antichi, come anche degli edifici di epoca romana e medievale, sono visibili e visitabili ancora oggi, sul promontorio della vecchia acropoli e all’interno del perimetro delle mura che circondano i tre quartieri in cui si articola lo spazio urbano, dominati dalla torre normanna diventata il simbolo della storia millenaria di questi luoghi affacciati sul mare.

Un mare che, da sempre, scandisce la vita degli abitanti della costa cilentana, esercitando su di loro e sui visitatori lo stesso richiamo delle sirene di omerica memoria. Una popolazione orgogliosa della propria storia, che risale alla colonizzazione greca, foriera di cultura, armonia e connessione con il territorio. Elementi che garantiscono ancora oggi un forte senso di appartenenza al mare e alle attività legate alla pesca, tramandate per generazioni e sufficienti a richiamare alle proprie radici chi aveva deciso di allontanarsene. Perché chi torna qui e chi decide di viverci, trova una qualità della vita fatta di ritmi lenti, buon cibo e capacità di assaporare ciò che il Cilento sa offrire in modi sorprendenti e sempre diversi. Anche per nutrire lo spirito.

All’interno del Parco Nazionale del Cilento, infatti, sulla sommità del monte Gelbison, il Santuario della Madonna del Sacro Monte di Novi Velia è mèta di pellegrini provenienti soprattutto dalla Calabria, dalla Basilicata e dall’entroterra cilentano, attratti dall’architettura, ma anche dalla vista spettacolare sul mare. La devozione mariana è legata alla leggenda secondo la quale una coppia di coniugi greci vissuti nel III secolo d.C., che veneravano la Madonna, avrebbe nascosto una statua della Vergine all’interno del Santuario per sfuggire alla persecuzione dei cristiani da parte di Diocleziano. Statua ritrovata molto tempo dopo da alcuni monaci basiliani (così chiamati da san Basilio, fondatore del loro Ordine), giunti in eremitaggio dall’Oriente.

La montagna disposta ad emiciclo abbraccia l’intera valle e ha una conformazione rocciosa composta di arenaria, argilla e calcare chiamata “flysch del Cilento” (flysch è un termine della Svizzera tedesca che significa “china scivolosa”), che la rende unica nel suo genere. Per non parlare della ricchezza d’acqua fornita dalle sorgenti naturali che rendono questa montagna un serbatoio capace di soddisfare il fabbisogno dell’intera vallata. E del fiume Calore, che infiltrandosi tra le pareti rocciose e i pendii che ricadono nel letto del fiume, ha dato vita alle Gole omonime, una delle tante meraviglie naturali dell’Italia meridionale.

Luoghi tutti da scoprire o da riscoprire, insomma, quelli cilentani. Meno conosciuti, forse, ma con una forte identità e tanta storia da raccontare.

Viviana Rossi

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