Oltre le apparenze del bianco

Alla scoperta degli antichi colori delle opere classiche esposte al MANN di Napoli

Siete proprio sicuri che la statua di Venere Callipigia, emblema di bellezza e sensualità, che avete ammirato, o ammirerete, in una delle sale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sia davvero bianca? Presto potreste scoprire che quello che avete visto era frutto della vostra percezione del mondo antico attraverso il filtro del candore.

Il bianco, infatti, non è un colore, bensì la somma di tutti i colori. Isacco Newton, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, ha consegnato questa verità ai suoi contemporanei e ai posteri, dimostrando che la luce bianca contiene tutti i colori dello spettro visibile. Prima che il suo trattato di ottica scardinasse le convinzioni coltivate dagli scienziati fino al Seicento, il bianco era considerato semplicemente un colore tra i tanti, sinonimo di purezza e innocenza.

Il MANN di Napoli, uno dei musei più importanti (se non il più importante) per la conoscenza del mondo classico, ha dimostrato, sulla scia della rivelazione di Newton, che il bianco del mondo greco-romano, modello di perfezione e di armonia per l’arte delle epoche successive, nasconde un caleidoscopio di colori.

Il progetto “MANN in colours”, realizzato in collaborazione con la National Taiwan Normal University di Taipei avvalendosi delle più moderne conoscenze scientifiche e tecnologiche, ha l’obiettivo di suscitare uno sguardo diverso sulle sculture esposte al pubblico dei visitatori, recuperando il loro aspetto originario e rivoluzionando la percezione estetica di chi guarda rispetto a un apparato decorativo non visibile ad occhio nudo, che è quello del colore.

Artisticamente, infatti, il mondo antico era molto più simile a quelle delle opere architettoniche e decorative ricche di colori brillanti, come l’oro, l’azzurro e il giallo, e la statuaria classica è sempre stata bianca per un’abitudine al candore, avvalorata dalla convinzione di una certa scuola di storici dell’arte (in primis, Winckelmann, principale teorico del Neoclassicismo) che ritenevano il colore un elemento intervenuto in epoca tarda.

Venere marina
Venere marina

Gli esperti del MANN, dopo una prima selezione di statue provenienti da Pompei – come la Venere marina, rinvenuta nell’atrio della casa IX, che presenta residui di colore rosso e azzurro nel mantello, e la Venere Lovatelli, rinvenuta nella casa di Diomede, sulla quale sono state rinvenute tracce di policromia e fori ai lobi delle orecchie, ornate, secondo la moda del tempo, di orecchini dorati – e dalla collezione Farnese, hanno applicato un metodo di recente codifica, utilizzando strumentazioni non invasive, ovvero luci particolari come l’ultravioletto, la macroscopia e la microscopia, che hanno permesso di ricavare un’immagine della superficie ottenendo degli indizi poi approfonditi tramite indagini di laboratorio. Lo stesso metodo ha consentito di rilevare tracce di colore anche sulla statua di Ercole Farnese, lasciando immaginare come poteva essere all’epoca della sua realizzazione.

Le diverse fasi del progetto realizzato dal MANN hanno previsto anche un coinvolgimento del pubblico dei visitatori nel percorso di ricerca, facendogli compiere, grazie alle spiegazioni degli esperti, un viaggio di conoscenza unico nel suo genere.

Per godere appieno dell’appagamento generato dal colore, è necessario, quindi, togliere il filtro dell’idea di una classicità bianca e accettare di guardare con occhi nuovi, a ulteriore conferma del fatto che i colori sono intorno a noi e che, senza, saremmo tutti più poveri anche in quanto esseri umani.

Viviana Rossi

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano