Ci sono dei momenti nella vita che, inspiegabilmente, uniscono un’intera nazione e creano una magia che non riesce a trovare una giustificazione razionale. La salita sui troni dell’Olimpo calcistico del campione Salvatore Schillaci trentaquattro anni fa, venuto dal quartiere popolare di Palermo di San Giovanni Apostolo ed elevatosi dal Sud più profondo in modo repentino e improvviso, ci faceva sognare, come forse aveva saputo fare per noi “vesuviani” solo Diego.
Totò era il campione di tutti e, comparso da poco sul panorama nazionale dopo un anno da fenomeno alla Juventus, aveva fatto coincidere il proprio periodo di grazia con le notti magiche del Mondiale del 1990.
I suoi occhi spiritati, la sua maglia azzurra e le braccia al cielo dopo il gol, restano negli occhi di tutti.
Purtroppo però non aveva saputo reggere l’elevata pressione susseguente, non mostrando più (se non sporadicamente) le sue doti di campione negli anni successivi. Tutto ciò lo indusse a spingersi, nella parte finale della carriera, a sfoggiare il suo magico piede nella terra nipponica.
Salvatore Schillaci ha un magico ricordo che lo lega a Diego perché, quando nel novembre del 1989, la sua Juve si trovò a fronteggiare il Napoli, Maradona volle donargli la sua maglia numero 10 annusando, probabilmente, che il campione palermitano ci avrebbe di lì a poco consentito di vivere serate prodigiose e straordinarie, quando il calcio era anche tale e non pervaso dal business attuale.
A dimostrazione di ciò, si rammenta che prima dell’inizio dei Mondiali, Maradona volle trattenersi in un lungo discorso con lui.
Maradona, Vialli e Schillaci, tre campioni che, ognuno a loro modo, hanno regalato gioie immense e sconfinate ai loro tifosi.
Giovanni Battista Tessitore