Di Tony Effe e Fedez, stiamo solo incitando il degrado della musica italiana e lo sfascio della privacy

Cresceranno figli chiedendosi se il padre fosse davvero il personaggio descritto nei versi: un uomo dedito a tradimenti, droga e al fallimento familiare. Come ci siamo arrivati?

Stiamo assistendo al declino della musica ma ciò non ci smuove. Ci fa ridere. Ma esattamente, di cosa? Del riflesso di un’industria musicale che sembra aver dimenticato la sua funzione culturale? Di rime scadenti, che riducono un’arte potente a un patetico scambio di insulti personali? Leggiamo testi che includono elementi come accuse di tradimento, droga, omosessualità e, cosa ancora più aberrante, l’uso dei figli come armi verbali. Non sono i protagonisti ad uscirne sconfitti, lo siamo noi.

I panni sporchi non si lavano più in famiglia: si postano su Instagram e si mettono in rima

Una volta, si diceva che i panni sporchi si lavano in famiglia. Ce lo hanno insegnato i nostri genitori, una sorta di limite morale che definiva il confine tra ciò che era privato e ciò che doveva rimanere tale. Oggi, quel confine non esiste più. E a furia del “vogliamo sapere tutto”, prendiamo quelle lenzuola, le esponiamo al sole e tutto ciò che vi leggiamo sopra diventa un manifesto del degrado culturale. Tutto questo, pur di guadagnare followers, stream e, soprattutto, soldi.

E così, nel dissing più recente, i figli diventano armi, le accuse di tradimento sono sbandierate come trofei, e i drammi familiari, una volta privati, vengono trasformati in intrattenimento. È un triste spettacolo: bambini che indossano ancora il pannolino sono già parte di questo teatrino. Li esibiamo come merce in una battaglia tra adulti incapaci di risolversi da soli, genitori trasformati in meme viventi. E noi, invece di indignarci, ci ridiamo sopra. Attendiamo la prossima “punchline” velenosa, ci diamo appuntamento alla prossima canzone, solo perché c’è una base che ci fa battere il piede?

A musica spenta, ci saremmo divertiti lo stesso?

Se la risposta fosse sì, ci sarebbe realmente di che preoccuparsi. Perché se togliessimo la musica da questi testi, se ci fermassimo davvero ad ascoltare le parole, non ci troveremmo niente da ridere. Piuttosto, ci renderemmo finalmente conto della bassezza di entrambi i protagonisti di questa pessima scena musicale e riconosceremmo che quello che stiamo ascoltando non è rap, non è arte, ma una farsa grottesca. Prima, avremmo lottato pur di difendere la privacy di una famiglia sbandierata ai quattro venti.

In un commento sotto uno di questi video si legge: “Sono un legale, vi dico che entrambi i testi di Tony Effe e Fedez possono finire in procura”. E cosa facciamo noi? Applaudiamo. Perché ormai sembra che avere una denuncia sul tavolo sia una medaglia da appuntarsi sul petto, l’ultima moda di chi vuole “essere reale”. Ma qual è il prezzo? Qual è il costo di questa discesa continua verso il fondo?

Insegniamo ai giovani come NON ci si costruisca con volgarità e pettegolezzo

Stiamo consegnando alle generazioni future un esempio squallido, dove la reputazione si costruisce non con il talento, ma con la volgarità e il pettegolezzo. Dove i figli sono usati come pedine in una partita che non hanno mai chiesto di giocare. E allora viene da chiedersi: cosa stiamo facendo? Che società stiamo creando, se i nostri valori sono questi? Parliamo di figli partoriti in modo innaturale da una strategia di marketing, insinuando che siano stati fatti solo per “postarli”, riducendo il legame tra un genitore e i propri figli a un mero dissing (malamente) rimato.

E, un giorno, un figlio “cresciuto come Leone da un padre coniglio” (facendo riferimento ad un passaggio di Tony Effe), a quattordici anni si ritroverà a chiedersi se il padre fosse davvero il personaggio descritto nei versi: un uomo dedito a tradimenti, droga e al fallimento familiare. E mentre tutti ne rideranno, lui se ne vergognerà e noi non potremmo che confortarlo con una pacca sulla spalla appesantita dal peso che è costretto a trascinare.

Di Tony Effe e Fedez, stiamo solo incitando il degrado della musica italiana e lo sfascio della privacy

Tra i due litiganti, il terzo che non gode è Chiara Ferragni

E poi c’è lei, che da un lungo viaggio turbolento è da poco atterrata al Gate Pandoro, giusto in tempo per postare su Instagram il suo desiderio di esser lasciata fuori dal diventare un trofeo conteso, con il suo ruolo di moglie gettato in mezzo alle rime per scatenare il pubblico: “Questa sera non uscirà l’ennesimo dissing che ha intrattenuto molto, ma una finta canzone romantica, priva di sincerità,” scrive l’influencer riferendosi all’imminente uscita del pezzo “Allucinazione collettiva” scritto da suo marito. “È un palese tentativo di sfruttare il momento, un atto violento, considerando che sono stati dieci mesi molto difficili. […] In molte occasioni ho scelto di restare in silenzio, forse troppe, per proteggere chi mi sta a cuore e tutelare la mia famiglia. Ma ora sono stanca. […] Credo sia giunto il momento di mettere un punto a tutto questo e di poter vivere serenamente, senza essere trascinata in situazioni che non mi appartengono né oggi, né mai più”.

Se tutto questo fa parte di un progetto artistico costruito ad arte, questo non si sa. Ma si spera che non porti ad una futura collaborazione fra i due rappers perché, figuratevi, cavalcare l’hype è adesso più importante della famiglia (guardate come salgono i followers!).

Il vuoto morale di un diss senza vincitori

Detto questo, non ci sono vincitori. Né Tony Effe né Fedez escono da questa battaglia con qualche merito artistico o umano. Chiara Ferragni ha chiesto di smetterla, e come darle torto? Per far parlare di sé e mettere da parte qualche spicciolo che aggiusti i malfunzionamenti dell’autotune, si è arrivati a mettere in ridicolo anche lavoro e sfera privata. C’è tutto, non manca nulla: la madre di Federico, sua moglie, i suoi figli, le sue ex, una presunta omosessualità irrivelata, la sua nuova bevanda “che sa di piscio” (cit.), le droghe condivise con Tony Effe e le amanti di quest’ultimo (a quanto pare anche interscambiate). Un dipinto della peggiore morale che si possa discutere, arrivata ad essere un trionfo. E così tutti ci cantano e ci ballano su, addirittura si riprendono le reaction ai botta-e-risposta dei due rapper.

Nessuno, però, che si chieda come sia smarrita la capacità di rispettare l’umano dietro alle parole. E che non si venga a dire che il rap è sempre stato questo, perché il suo passaggio dall’essere una forma d’arte potente ad una cassa di risonanza per la meschinità, è ampiamente superato e arrivato a contenuti vuoti e intenzioni (e mani) basse.

Stiamo assistendo “al nulla che guadagna soldi”

In conclusione, ciò che più resta impresso è il commento di un genitore: “Lo squallore dei testi è quello che ascoltano i nostri figli? Il nulla che guadagna soldi. E i bambini, lasciamoli fuori da queste miserabili baruffe!”. Cara Donatella, hai ragione: i social sono luogo in cui il gossip e le insinuazioni superano il valore del messaggio. Sembra che non si riesca a far meno di seguire la vicenda. Se solo fossimo meno intossicati dalle piattaforme, forse, capiremmo che è giunto il momento di tornare a chiedere di più, di esigere che anche nei diss si torni a parlare di qualcosa che vada oltre l’attacco personale. E chissà, magari ritrovare quella forma d’arte che, nella sua essenza, elevi le parole, piuttosto che trascinarle nel fango insieme alle proprie famiglie.

Sofia Comentale

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