A bocce ferme, o quasi, mi piace dire quattro parole (ma proprio quattro), che a onor del vero non sono state richieste da alcuno, sull’opera di Gaetano Pesce “Pulcinella, Tu si’ na cosa grande” che da qualche giorno si propone in tutta la sua essenza a Napoli, in piazza Municipio. Il tutto, dopo aver provocato, anche io stesso, numerosi interventi attraverso un post messo sui social.

Ecco: quella installazione non mi dispiace.

Il problema che subito si è posto, sin dal primo momento che le immagini del “Pulcinella” hanno cominciato a correre su web e social è stata l’ammuina che ne è derivata.

È arte? Non è Arte? È sconcezza? È una presa per i fondelli? Sono soldi buttati al vento, come crede un a buona parte di chi ha giudicato l’opera?

Moderna o postmoderna, spaziale, simbolica, chiamatela come volete, quella installazione, quel Pulcinella, colorato in quel modo, è anch’esso arte.

Può piacere o meno ma è l’espressione di una idea che l’artista che l’ha concepita si è fatta di un nome, di un personaggio simbolo, di un popolo, di un tempo e dello spazio che attraverso quella struttura si anima e da “vuoto” si riempie di ogni emozione.

L’arte: pittura, scultura, fotografia, poesia, musica, teatro che dir si voglia ha le sue strade. A volte sono facili da percorrere.

Altre, quelle vie sono impraticabili.

Epperò esistono. Ci sono. Qualcuno più in là, in un altro tempo e con altri modi di pensare, le percorrerà e darà loro il giusto valore.

Chi è artista non si preoccupa di cosa dirà l’uomo comune di quanto è stato da lui fatto.

L’artista, il poeta, il pittore, lo scrittore, ha un’esigenza: esprimere il suo stato d’animo con quanto ha realizzato. Una poesia, una scultura, un brano musicale, sono “figli” e l’autore, come faceva il pater romanus, una volta che questo figlio è nato lo prende in braccio e lo mostra al popolo dicendo esplicitamente “eccolo: questo è mio figlio”. E questo figlio che lui presenta, anche se sono due e uno di essi è più bruttarello, ben presto diventa anche “figlio” di chi lo guarda, lo osserva, lo giudica. E lo giudica con il metro e il bagaglio di cultura e di emozioni che si porta appresso da quando è venuto al mondo. Lo valuta con il suo metro di giudizio.

Modugno scassò le leggi della musica italiana: era un “urlatore”: Fred Bongusto ne diceva peste e corna, ma Modugno vendeva, piaceva e scalava le classifiche. “Volare / Nel Blu dipinto di blu” è stata giudicata tra le canzoni più belle mai scritte. Lo stesso fecero i Beatles con la musica mondiale, Carosone con la canzone napoletana, e Pino Daniele, più recentemente. E così per Picasso, Marinetti, Antonio Ligabue, i barattoli di di Andy Warhol e quelli di Piero Manzoni con il suo “Merda d’artista”. Quando arrivarono le “capuzzelle” di morto, di Rebecca Horn, fu lo stesso. Idem per la “Spirale” di Richard Serra (ci andavano a pisciare dentro…) e per i “lupi” di Liu Ruowang. Ultimo, Pistoletto e la sua “Venere degli stracci” che fu persino bruciata: azione molto simile a una “performance” estemporanea.

Entusiasmo, amore, piacere, critiche, sfottò, ira, rifiuto: tutti sentimenti che nascono dal nostro io e dalla educazione e dalla conoscenza e dalla cultura che abbiamo assorbito negli, e dagli, strati sociali che abbiamo frequentato e frequentiamo. E se quel Pulcinella di Piazza Municipio diventa per tanti… un membro… ebbene, che male c’è? A Pulcinella, maschera dissacrante, spregiudicata, derisoria, non dispiacerà passare per tale perché ancora una volta andrà a “quel servizio”, come si dice a Napoli, all’universo mondo. Con buona pace di chi ha sogghignato e sogghigna davanti all’arte di Pesce.

Carlo Avvisati

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