Testimoniare il passato per sottrarre all’oblio realtà che il tempo e la memoria condivisa rischiano di far scomparire per sempre. È quello che accade quando fenomeni come i terremoti aprono ferite insanabili nella terra e nella vita delle persone che abitano luoghi, edifici e intere città, destinati a rimanere disabitati o a resistere, trovando la forza per rinascere.
Anche qui, la forza distruttiva del terremoto dell’Irpinia del novembre 1980 – che si abbatté su Campania, Basilicata e Puglia, e che si manifestò con più forte intensità rispetto a quello dell’Aquila del 2009 e di Amatrice nel 2016 – costrinse gli abitanti ad abbandonare il borgo antico e a ricominciare la propria vita a due chilometri di distanza, in quella che oggi è la nuova Romagnano.
Il vecchio borgo si trova in una posizione impervia, raggiungibile attraverso una strada a rischio frane, sovrastata dal costone di roccia su cui fu costruito, e non è più accessibile per motivi di sicurezza. A testimoniare la sua storia recente, rimasta ferma a quel giorno di novembre, sono i resti delle case, del municipio e della chiesa del Santissimo Rosario, crollata e ricostruita dalle fondamenta nel nuovo paese. Ma aleggiano anche le poche reminiscenze di un’epoca più remota, quella in cui la zona era nota come “fundus romagnanus”, forse dal nome della famiglia patrizia a cui apparteneva, seguita da secoli di pestilenze, carestie, brigantaggio ed eventi sismici.
Oggi, l’area che è stata il primo insediamento provvisorio di Romagnano dopo il sisma, non ha, per fortuna, avuto la stessa sorte del vecchio borgo, trovando la sua ragione d’essere nel progetto che l’ha riportata a nuova vita. Le casette che, dopo il sisma, accolsero gli abitanti sfollati sono state ristrutturate per diventare delle seconde case, e per essere affittate ai turisti che scelgono questi luoghi per la tranquillità e l’aria buona.
Un piccolo paese dove l’agricoltura e la pastorizia erano, un tempo, le uniche attività praticate dalla popolazione, e dove oggi continuano a regnare sovrani la macchia mediterranea e i campi coltivati, in un contesto profondamente segnato dalle sue ferite, ma vivo.
Viviana Rossi