Il nuovo libro di Gianfranco Pecchinenda con la sua scrittura, chiara e leggera, cela tantissimi spunti di riflessione.

Un dialogo intimo quello tra il prof. Marchegiani e il suo amico Amalfitano che conduce il lettore ad immedesimarsi nella sensazione di estraneazione e irrequietezza propria di chi cerca, attraverso l’arte, di dare un senso alla propria esistenza – o alla propria finzione.

In quella che potrebbe sembrare una giornata solita per il prof. Marchegiani si insinua in lui la percezione di non esserci, non aver memoria, di invecchiare, di non dover dare nulla per scontato. Così il professore in preda al panico cerca riconoscimento sociale, dapprima al bar del suo amico Bruno, e poi da Amalfitano.

Nel libro non mancano riferimenti ereditati dai Maestri dell’autore, da Camus a Tolstoj, Mario Benedetti, Mann, Unamuno ed altri. Come a sottolineare quanto l’uomo costruisca e definisca la propria identità sulle spalle dei propri “padri” letterari.

Un evento “casuale” come la presunta perdita della sua bicicletta genera in Marchegiani spaesamento e irrequietezza. “Fortis imaginatio generat casum“. Così il professore mette in discussione tutta la sua realtà, una realtà che è sua perché appartiene alla sua finzione.

L’approdo finale del libro è il tema della felicità. “Quando siete felici, fateci caso” diceva Vonnegut. E così, nell’Eclittica, il prof. Marchegiani ci invita ad imparare a riconoscere i momenti in cui ci sentiamo felici, in quanto la felicità non è uno stato permanente ma transitorio. Noi possiamo indugiare in quell’istante di felicità, soltanto se impariamo a riconoscerlo, a dargli un tempo, uno spazio, un nome.

Gianfranco Pecchinenda, saggista e scrittore italo-venezuelano, è professore di Sociologia della Conoscenza all’Università Federico II di Napoli.

Licia Petraccone

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