Era la notte tra il 23 e il 24 ottobre quando un ragazzo di appena 15 anni fu ritrovato senza vita e abbandonato nei pressi di Corso Umberto I a Napoli: il corpo identificato fu quello di Emanuele Tufano, residente nel quartiere Sanità. Incensurato, bravo lavoratore, anche studioso, era immerso nel tentativo di cambiare vita, almeno fino a quando non è stato ritrovato morto fra venti bossoli esplosi con provenienza da quattro pistole. Fra questi, un solo colpo alla schiena è stato fatale per il giovanissimo che tentava la fuga da una banda di criminali che lo avevano raggiunto a tutta velocità su otto scooter per risolvere, con molta probabilità, una questione di “territorialità”. Solo ieri mattina è arrivata una possibile svolta nel corso delle indagini. La dinamica è ancora da chiarire, ma tanto confusionaria da arrivare a pensare che Emanuele possa esser stato colpito dal fuoco amico.
A maggio, Emanuele era stato denunciato dalla sua stessa madre: “Volevo provare a salvarlo”
La Procura ha disposto un incidente probatorio sui telefoni cellulari di Tufano e dei due minorenni attualmente iscritti nel registro degli indagati per possesso di armi, entrambi a piede libero. Convocati in sede gli avvocati dei due indagati: il 15enne F.A., difeso da Immacolata Spina, e A.P., assistito dall’avvocato Mauro Zollo. Anche i familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Massimo Bruno, parteciperanno alla verifica delle prove, con cui si augurano di riuscire finalmente chiarezza su quanto accaduto e poteva essere evitato.
La madre di Emanuele, per non assistere un giorno al corpo senza vita di suo figlio, soltanto lo scorso maggio lo aveva denunciato, con una coraggiosa motivazione: “Io oggi posso avere mio figlio contro, sicuramente. Perché non capirà oggi. Ma spero che domani capirà e apprezzerà. Mio figlio ha avuto una seconda vita – racconta – e io ho il diritto di salvare non solo mio figlio, ma anche altri ragazzi“. Purtroppo, la sua speranza di impartirgli un insegnamento con il tentativo che cambiasse le sue scelte di vita, non ha funzionato. E il dolore che ora starà provando, questo nessuno lo cancellerà.
Nessuno accanto al corpo di Emanuele, ma tutti presenti ai suoi funerali
Le indagini, coordinate dai pm Celeste Carrano (anticamorra), Maurizio De Marchis (ordinario) e Claudia De Luca (minori), stanno vagliando l’ipotesi che la spedizione dal rione Sanità possa essere stata un atto di vendetta. Nel frattempo, quanto finora è emerso dalle indagini, è il confronto tra due gruppi di giovanissimi, probabilmente tutti minorenni: un gruppo di sedici ragazzi della Sanità, organizzatisi con otto scooter, si è scontrato con quattro ragazzi del rione Mercato, che erano su due motocicli. Il conflitto è stato violento, con una ventina di colpi esplosi da entrambe le parti e l’uso di almeno quattro pistole.
I giovani del Mercato, nel tentativo di difendersi, si sarebbero gettati a terra cercando riparo dietro le auto parcheggiate, colpite anch’esse dai proiettili, devastando vetri e parabrezza. Uno di loro, tentando una difesa alla cieca, avrebbe sparato un colpo che ha raggiunto Emanuele Tufano alla schiena. Purtroppo per il giovane, quel proiettile è stato fatale. E ai suoi amici, presenti al momento dei fatti e fuggiti dopo gli spari, non è restato che piangere ai suoi funerali, colpiti dalla rabbia e dal dolore nella parrocchia di Santa Maria alla Sanità.
Si analizzano gli indumenti, alla ricerca di tracce da polvere da sparo
Il fenomeno dei baby-criminali che si espande a macchia d’olio è attenzionato dalle Istituzioni, severamente preoccupate, e dall’Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che all’epoca dei fatti si espresse con rammarico: “Ogni volta che un giovane viene ucciso la nostra città perde una parte del suo futuro, e questo non può lasciarci indifferenti”. E se in queste ore, oltre all’esame dei telefoni cellulari, gli inquirenti stanno procedendo con accertamenti tecnici irripetibili sugli indumenti di tutti i soggetti coinvolti, è per il tentativo di recuperare tracce di polvere da sparo. Comparati con quelli raccolti sulla scena del crimine, confermeranno o meno la dinamica dell’incidente.
La questione della responsabilità del colpo che ha colpito Emanuele resta ancora aperta: il colpo fatale potrebbe essere stato accidentale o addirittura frutto di fuoco amico, vista la confusione della sparatoria in un’area stretta e con molte persone in movimento. Resta il fatto che una volta colpito alla schiena e perduta la guida dello scooter, è stato lasciato solo sull’asfalto, circondato da bossoli e da taciute circostanze utili alle indagini delle autorità. Solo sette giorni dopo, la sua solitudine è stata colmata dall’arrivo in Chiesa di oltre duemila persone per l’ultimo saluto. Eppure, neanche lì alcuna confessione ha tentato di far giustizia sulla sua morte.
Napoli ha il dovere di salvare tutti i suoi ragazzi
L’idea è che una precedente offesa abbia innescato la reazione, avviando un’escalation di violenza in cui i confini delle rivalità tradizionali tra Sanità e Mercato si sono fusi con dinamiche di faida tra giovanissimi. Una contrapposizione feroce e apparentemente incontrollabile che sta spingendo gli investigatori a fare luce sui rapporti tra questi gruppi per identificare responsabilità e ricostruire un quadro che possa evitare simili tragedie in futuro. Chissà se, a rinforzo della sicurezza, basterà il finanziamento di 3 milioni di euro che il ministero degli Interni ha fornito alla città di Napoli per l’installazione di ulteriori 350 telecamere di sorveglianza, che si aggiungeranno alle mille già operative. Perché, quanto più importante adesso, è un cambio di passo, come segnalato dall’Arcivescovo Battaglia, che lo dice “con tutta la forza e l’urgenza che richiede questo momento”. Napoli ha il dovere di salvare tutti i suoi ragazzi.
Sofia Comentale